Capitolo 1

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"Il maggior ostacolo del vivere è l'attesa, che dipende dal domani ma spreca l'oggi".

Lucio Anneo Seneca

Hayden, Idaho, 2018

Era una mattinata ventosa. Il sole, alto nel cielo, riscaldava abbastanza la terra e la pelle di chi decideva di stare all'aria aperta, ma il vento, che passava regolarmente, dava un po' di sollievo.

Dalla casa in cui Bridget era cresciuta era possibile sentire le grida di gioia dei ragazzi che, approfittando dell'inizio dell'estate, avevano deciso di farsi un bagno nel lago.

Anche lei ci andava spesso, da giovane, e aveva solo bei ricordi di quel posto. Lì aveva dato il primo bacio. Lì aveva visto per la prima volta colui che poi sarebbe diventato suo marito. Lì gli aveva comunicato di essere rimasta incinta.

E proprio perché la riva di quel lago era legata a troppe tappe della sua vita, che Bridget evitava anche solo di passarci per caso. A costo di fare il giro lungo con la macchina pur di evitarlo.

Poteva sentire la sua presenza, a poca distanza dalla sua casa, sempre costante, ma cercava d'ignorarlo.

Proprio come quel giorno, quando scese dal suo vecchio pick-up chevrolet, degli anni ottanta, color verde militare un po' sbiadito dal tempo.

Portando tra le braccia un grosso scatolone strapieno di perline e altri oggetti che le occorrevano per le sue creazioni artistiche, chiuse la portiera dell'auto con il piede e cercò di percorrere il vialetto di casa senza inciampare.

«Vattene via, gattaccio», ringhiò contro al gatto della vicina che, come ogni giorno, se ne stava sdraiato sul gradino della sua veranda.

Per poco non lo calpestò, nel tentare di salire le scale e lui, in risposta, si alzò di scatto, le soffiò contro e corse via, probabilmente a disturbare qualche altro abitante del posto.

Bridget posò la scatola a terra, per potersi muovere in libertà, e prima di fare qualsiasi altra cosa voltò la testa e alzò lo sguardo verso il cielo.

Riuscì i fissare il sole per qualche secondo prima di essere costretta a distogliere gli occhi da quella vista accecante.

Con tutta calma cercò le chiavi di casa nella sua borsa, tastando all'interno e trovando di tutto. Fazzoletti, assorbenti, caramelle, specchietti.

Ma non aveva fretta, nessun appuntamento giornaliero, nessuno ad aspettarla. Perciò si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno.

Spalancò la porta per poi poter entrare con la scatola di nuovo fra le braccia e, proprio nell'istante in cui metteva piede dentro casa, il telefono iniziò a squillare.

Quel suono fastidioso si era sempre insinuato nei suoi timpani e, negli ultimi quindici anni, era diventato un vero e proprio incubo.

Ogni volta che lo sentiva non sapeva se aspettarsi belle notizie oppure il peggio.

Troppi dolorosi ricordi erano legati allo squillo di un telefono e, nonostante tutte le delusioni, lei era sempre andata a rispondere con una vena di ottimismo a farle compagnia.

I primi tempi non riusciva neanche a dormire bene, sempre con l'orecchio puntato sull'attenti, pronto ad ascoltare ogni piccolo suono.

Perché potevano chiamare in qualsiasi un momento e lei doveva essere preparata.

Spesso non lo faceva trillare per più di due volte, tanto era lì vicino in attesa. Ma con il tempo anche ciò era stato divorato dalla mera routine.

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