Capitolo 10

325 29 17
                                    

"Una casa non è una questione di mattoni, ma di amore. Anche uno scantinato può essere meraviglioso".

Christian Bobin

Hayden, Idaho, 1997.

Nick si era portato avanti, uscendo dalla macchina di corsa, con in mano più bagagli possibili, ed era corso ad aprire la porta. 

A Bridget restava solo di occuparsi della figlia, sul seggiolino, che dormiva allegramente. La prese, con delicatezza per non farla svegliare.

Da quando era piombata nel loro mondo, i due ragazzi avevano smesso di dormire la notte, perennemente in piedi a causa dei suoi pianti. 

E poi di giorno, troppo indaffarati dagli impegni, la osservavano riposare con un po' d'invidia. 

Bridget si prese qualche istante per memorizzare per l'ennesima volta i tratti somatici della figlia. Le diede un bacio dolce e delicato sulla fronte e si avviò verso l'interno della loro prima casa. 

Non tutti avrebbero trovato la forza, e il coraggio, di sorridere di fronte a quella piccola casetta prefabbricata - che sua madre avrebbe chiamato poco affettuosamente catapecchia - dalle pareti leggermente ammuffite. 

Ma loro erano giovani, un po' ingenui e soprattutto fiduciosi nei confronti della vita. Tutto il resto non aveva importanza. 

Per questo Bridget era passata oltre le piccole dimensioni, i mobili vecchi e consumati e gli infissi da rifare. 

Al posto di quell'ammasso di roba da ristrutturare, lei ci vedeva il suo futuro. Un futuro brillante, un po' difficile e in salita certo, ma un bel futuro, al fianco di Nick e della loro piccola Lily. 

«Ho già chiamato mio cugino Luke e ha detto che questo weekend viene a darci una mano con i lavori. Prima di tutto ci occuperemo degli infissi, poi della muffa, della tinta, i mobili... insomma, la rimetteremo a nuovo».

Nick teneva le mani ben salde sui fianchi, un sorriso di quelli che solo un ragazzo che ha appena comprato la sua prima casa può avere. Uno di quelli che non guardano in faccia alle difficoltà ma bensì tendono a vedere tutto positivo.

Si voltò a guardarla e aggiunse: «Non sarà una reggia, però ti prometto che alla fine dei lavori sarà una casa degna di essere vissuta».

L'entusiasmo di Nick - che a volte stonava anche con il suo modo di essere - finì per rallegrare ancora di più Bridget. 

«La trovo perfetta. Sarei andata a vivere perfino in un cassonetto, pur di non restare un altro giorno a casa dei tuoi...»

Si rese conto dell'ambiguità delle sue parole troppo tardi, ma si affrettò a precisare: «Non che non siano stati gentili e disponibili, anzi, senza di loro non ce l'avremmo mai fatta... Ma diciamo che quella casa iniziava ad essere un po' troppo affollata».

Non era l'unica ad aver sentito quel senso di oppressione. Anche Nick lo aveva avvertito e proprio per questo si era messo alla ricerca di una casa, non appena Bridget gli aveva rivelato di voler andare via. 

Doveva essere sincero, l'aiuto dei suoi genitori aveva fatto comodo ad entrambi, ma ormai era giunto il momento di prendere il volo e lasciare il nido per sempre. 

«Entriamo», la invitò lui, aprendo la porta cigolante di quella piccola abitazione. L'interno non era certo più rassicurante dell'esterno. 

La moquette, rovinata in più punti, sporca e vecchia, era praticamente da buttare e cambiare, ma Bridget non fece neanche caso alla grossa macchia scura propria di fronte all'entrata. 

Riusciva solo a vedere il potenziale di quella casa, come sarebbe diventata un giorno, dopo anni ed anni di lavori e piccoli sacrifici. 

Immaginava di appendere quadri comprati durante i loro viaggi, o fiori presi alle fiere. Di poter mettere in bella mostra, magari affissi al frigorifero, foto, disegni e pagelle di Lily. 

E poi lì, sul muro portante che divideva l'angolo cottura con il salone, già riusciva a vedere i segni lasciati dalla penna, anno dopo anno, per misurare l'altezza della figlia. 

Questo e molto altro le passò per la testa, distratta dalla sua immaginazione al punto da non sentire l'odore di stantio, o la puzza di urina. Al punto da non accorgersi del divano con i cuscini bucati, o di un'intera parete completamente rovinata. 

E Nick osservava la ragazza, la scrutava e la esaminava, intento a notare qualsiasi cambio di espressione. Nonostante fosse abbastanza fiducioso, aveva anche paura che a Bridget potesse non piacere. 

«Adesso la vedi così solo perché nessuno ci abita da anni, ma con qualche ritocco...»

Non finì neanche di parlare che Bridget sentenziò, confermando la sua idea iniziale: «Mi piace».

E lo disse con un sorriso che le attraversava da parte a parte il viso, sincero e genuino. Con una freschezza che si può avere solo a quell'età. 

La sua spontaneità lasciò Nick stupefatto. Sapeva che era una ragazza forte, in grado di adeguarsi a tutto, ma quando l'aveva portata lì, di fronte alla loro nuova casa, si era aspettato di doverla quantomeno convincere. 

Si era aspettato un po' di resistenza e dubbi, da parte di lei.

Invece non aveva fatto il minimo sforzo. Non gli erano serviti tutti quei discorsi che si era preparato durante il tragitto. Lei era felice e soddisfatta.

Forse perché quando si è così giovani e innamorati non ci si rende conto di cosa sia davvero importante nella vita. O forse proprio perché si è giovani e innamorati si da peso a ben altre cose. 

«Naturalmente avrà bisogno di una sistemata...» continuò Bridget, concorde con quanto aveva detto poco prima Nick. 

«Ma io ci vedo del potenziale».

Con delicatezza posò la bambina fra le braccia del padre. La piccola fece solo un leggero mugolio, si sistemò meglio sul torace più tosto e grande di Nick, sospirò e tornò a dormire serenamente mentre la madre si avvicinava alla cucina. 

Come se fosse già la padrona della casa, girò intorno all'angolo cottura, osservando tutto nei minimi dettagli.

I mobili erano vecchi e usurati ma era convinta che dopo una bella riverniciata sarebbero tornati al loro antico splendore. 

Immaginandosi a cucinare lì, la sera, mentre aspettava il ritorno di Nick, prese la maniglia di uno sportello, in alto sopra al lavandino, e fece per aprirlo. 

Purtroppo però in quel momento il mobile decise di cedere, il perno che teneva salda l'anta si ruppe e quasi le cadde tutto addosso. 

Con un urlò saltò all'indietro e schivò il pezzo dell'arredamento, che per poco non le finì in testa, mentre in mano le era rimasta ancora la maniglia. 

Per qualche secondo rimasero entrambi interdetti, e poi i due ragazzi si guardarono e scoppiarono a ridere. 

Forse erano pazzi perché di sicuro un'altra coppia non avrebbe trovato proprio nulla da ridere. Eppure loro non erano mai stati più felici di così.

Il grande rumore del crollo, e le risate dei genitori, svegliarono la piccola Lily che fece sentire la sua presenza con un pianto a dirotto. 

Bridget lasciò cadere il resto dell'anta che aveva ancora in mano e corse immediatamente dalla figlia, la prese in braccio e la cullò, con ancora le lacrime agli occhi per le grosse risate. 

«Forse ci sarà un bel po' di lavoro da fare».

Let her goDove le storie prendono vita. Scoprilo ora