Cap. 18 Rescue

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     Avevano deciso di comune accordo di rimanere nell'appartamento di David, principalmente perché lui doveva tirarsi avanti con alcune consegne e aveva tutti gli strumenti con cui lavorava nella propria camera. Andrew si era rannicchiato sul divano, perso nei propri pensieri: sentiva ogni fibra del corpo tesa all'inverosimile, nel disperato tentativo di cogliere avvisaglie preoccupanti.

-Drew, ti farai venire un'ulcera così.- gli fece presente l'inglese. Digitò alcuni comandi e poi attese che il pc elaborasse quanto gli era stato richiesto.

-Mi dispiace...- sbuffò lui. –Ma non riesco a non pensare a cosa ho combinato quando ho dato retta al lupo.

-Devi imparare a controllarlo, quello è vero. Ma lo devi fare con gentilezza: combattere non serve a nulla.- replicò l'altro, lanciandogli una rapida occhiata da dietro lo schermo.

L'americano si prese la testa tra le mani. –E' tutto una grande contraddizione...- brontolò tra sé.

-Oh, sì. Siamo esseri contraddittori, in effetti.- gli diede ragione Dave.

Drew si concesse qualche minuto per riordinare i pensieri, poi si appoggiò allo schienale del divano coi gomiti e domandò:-Com'è stata per te?

L'inglese gli lanciò un'occhiata distratta. –Com'è stata cosa?

-La tua prima trasformazione.- Andrew roteò gli occhi, divertito dal finto tono noncurante dell'altro.

-Oh... quella. Tutto nella norma.- la sua risposta fu abbastanza frettolosa e destò qualche sospetto nel suo interlocutore. Resosi conto di essere osservato, prese un respiro profondo e mise in pausa il proprio lavoro. –Non è stata esattamente una passeggiata.- ammise infine.

-Hai fatto del male a qualcuno?- il ragazzo si fece ancor più interessato.

Dave fece una smorfia. –No... a parte me stesso.- rivelò, evitando di guardarlo negli occhi.

Capendo che non era un argomento facile, Andrew decise di passare a qualcosa che, sperava, fosse meno spinoso. –Tu ed Evan... quando vi siete incontrati?

Sembrò pensarci su, anche se non aveva bisogno di frugare nella memoria per ricordare quel giorno. Era stato l'inizio e la fine di tutto. –Avevo ventiquattro anni, quindi era il 1856.- rispose. –Ero un giovane rampollo, istruito e parecchio tronfio.- aggiunse, ridacchiando.

-Tu?- l'americano sollevò un sopracciglio, divertito.

David si esibì in una breve risata. –Sì, proprio io. Cosa non ti torna? Il fatto che fossi tronfio o che fossi un rampollo?- chiese, divertito.

-Entrambi.- ridacchiò l'altro, stando al gioco. 

Era facile parlare con l'inglese perché riusciva sempre ad alleggerire conversazioni che, altrimenti, sarebbe stato problematico affrontare. O per lo meno faticoso.

-Be', lo ero.- confermò, tornando serio. –E, nonostante tutti i tentativi di mia madre, ero particolarmente stupido a quell'età.- ammise.

-Chi non lo è? A parte Amanda... lei è nata con un senso del dovere così spiccato da far paura.- replicò Andrew.

L'altro annuì con un rapido cenno, dandogli ragione. Poi si stiracchiò pigramente e si alzò dalla sedia su sui era stato per quasi due ore. –Non sapevo di essere un licantropo e, quando mi sono trasformato, ho creduto di esser stato posseduto.- rivelò, sfiorando distrattamente la superficie lisca del tavolo.

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