Capitolo sei

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La sera prima...

Susseguirono dei secondi di silenzio, silenzio originato dal trambusto. Camila non riuscì a spicciar parola, e Lauren era talmente tramortita che non avrebbe saputo nemmeno cosa dire.

D'altronde, quando rivedi la donna con cui hai condiviso sei anni della tua vita, e sai che è l'unica che hai amato ma che hai perso a causa del tuo puerile atteggiamento, cosa potresti dirle se non...

«È colpa tua, mi sei venuta addosso tu.» Dichiarò con tono di protesta Lauren, portando le braccia conserte per evitare di massaggiarsi il punto già dolorante a causa dei colpi accusati sul ring.

«Ah, io?» Sgranò gli occhi la cubana, puntando il dito al suo petto con aria stizzita nei confronti della corvina.

«Si, tu.» Replicò recisa, alzando appena il mento nella sua direzione come per sfidarla a muovere il prossimo passo.

«Ma guarda questa.» Scosse la testa Camila, basita per come Lauren fosse riuscita a "innescarla" con una sola parola, anche ad anni di distanza.

«Questa, ha un nome.» Scandì bene la prima parola, velenosamente adirata, ma invece di procedere verso gli spogliatoio e sottrarsi a quella penosa conversazione, si appoggiò contro il muro.

«Dopo tutto questo tempo, credo di averlo dimenticato.» La punzecchiò Camila, la quale si sarebbe chiesta soltanto dopo come fosse possibile che stessero intrattenendo una conversazione quasi normale dopo tutto quello che era successo, come se niente fosse stato mai, né nel bene che nel male.

«Non si dimentica il mio nome» Un'incurvatura maliziosa affiorò sulle sue labbra, componendo l'arrogante sinfonia che aveva sfoggiato la prima volta che era incappata in Camila nel suo ufficio.

«Ma ti prego.» Sbuffò la cubana, scuotendo il capo incredula.

Dopodiché il silenzio fu sovrano indiscusso. Entrambe si scambiavano sguardi furtivi, coglievano le differenze caratteristiche dei loro volti segnati dal tempo.

Lauren aveva una cicatrice sul sopracciglio, Camila aveva adottato il vizio di grattarsi la fronte per stemperare il silenzio. Le spalle di Lauren erano più robuste, sguainavano la superbia della ragazza ancor prima che parlasse. I fianchi di Camila si erano snelliti, i suoi occhi mantenevano lo stesso colore, forse un po' chiaro. Gli smeraldi di Lauren erano gli stessi.

Eppure, anche in quegli attimi di inutile e improduttivo silenzio, nessuna delle due si accinse ad andarsene.

«Che ci fai qui?» Spezzò estemporaneamente il silenzio la corvina, fissando Camila con espressione scettica.

«Lavoro.» Fu la risposta concisa della cubana, susseguita da una scrollata di spalle.

«Lavori?» Chiese perplessa la corvina, aggrottando le sopracciglia.

«Ah... Si, si. Lavoro per il sig... Lavoro per Tommy.» Si corresse velocemente, ricordando la richiesta esplicita dell'uomo alla quale doveva ancora adeguarsi.

«Tommy?» Rimarcò con incongruo stupore la corvina, adducendo poi «Che siete amici d'infanzia? Tommy lo chiamavano solo i conoscenti più stretti.» Appuntò seccata la corvina, che non digeriva l'improvvisa presenza della cubana nella sua vita quotidiana.

«Me l'ha detto lui di chiamarlo così.» Si difese con un sospiro Camila, constatando che lo temperamento irriverente di Lauren non era mutato, anzi si era acuminato.

La corvina borbottò qualcosa sottovoce, chiaramente contraria al rapporto confidenziale che si stava instaurando fra i due, per ragioni controverse. La prima, odiava che Camila stesse attecchendo radici fra le sue amicizie, anche si trattava solo di un soprannome, era comunque urtante. La seconda, perché conosceva Tommy e gli sguardi che dedicava alle ragazze, e non le piaceva per niente che quegli occhi affamati si fossero posati su... No, non era per quello. Quello non le interessava più ormai.

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