Capitolo ventuno

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Il Queens era uno dei grandi quartieri, come li denominava Camila, in cui avrebbe volentieri alloggiato. Inizialmente aveva anche fatto delle accurate ricerche, ma la zona non era di gradimento ad Alejandro, il quale sosteneva che la criminalità fosse più fondata fra le fitte periferie che nei centri nevralgici della città. Ecco perché infine aveva optato per New York: perché le serviva la benedizione di suo padre, oltre al finanziamento che le aveva gentilmente devoluto.

Quando quella mattina varcarono la soglia di una periferia del Queens, la prima cosa che Camila notò fu il quantitativo preponderante rispetto alla sua città di treni che sfrecciavano sopra le loro teste, paralleli alla strada.

La seconda cosa che le saltò all'occhio del centro urbano furono gli angusti negozi, un po' diroccati e dismessi, da cui venivano malamente cacciati dei vagabondi con intenzioni poco ortodosse.

La terza e ultima cosa che notò, non fu inerente al panorama, bensì al peso che le zavorrava sulla spalla. Lauren si era assopita quasi subito, scivolando sempre più in basso, sempre più in basso, fino a poggiarsi sulla sommità della spalla della cubana. Camila non l'aveva destata per due ragioni. La prima, perché era abbastanza imbarazzante, in più non sapeva come avrebbe reagito Lauren; e la seconda... Non era così sicura di volersi alleggerire.

Ora però erano giunti a destinazione, quindi svegliarla era d'obbligo. Camila la scosse leggermente, ma non vi fu reattività, poi ci pensò Tommy, involontariamente, a destarla. Chiuse così forte lo sportello dell'auto che Lauren sobbalzò, assumendo una posizione offensiva o difensiva, Camila non era così edotta da distinguerne le differenze.

«Cazzo.» Imprecò a denti stretti quando si avvide che era tutto sotto controllo.

Si passò una mano fra la chioma corvina, respirando profondamente. Quando si voltò verso la cubana, percependone il peso dello sguardo assorto su di lei, aveva ancora le guance arrossate dal sonno e le striature delebili dei ciuffi che le segnavano il volto.

«Buongiorno.. Di nuovo.» Sorrise Camila, guadagnandosi solo un ghigno sghembo da parte della corvina che arrancò un po' assonnata verso l'uscita.

Nessuna risposta.. di nuovo. Si appuntò mentalmente, arricciando le labbra ed annuendo flebilmente, archiviando l'atteggiamento cerbero e schivo della ragazza.

Lo sportello al suo fianco venne improvvisamente spalancato facendola trasalire. Tommy le sorrise smagliante, incoraggiandola a scendere mentre loro si occupavano di scaricare i borsoni che ingombravano il baule.

Lauren era stata già attorniata da qualche paparazzo che si era appostato in zona, attendendo appartati e pazienti l'arrivo degli atleti. Tommy e il resto della troupe si tenevano in disparte, anche Camila era defilata. Assistevano all'interazione, però, con circospezione. Insomma, restavano sugli attenti perché prima o poi un giornalista avrebbe trasgredito la linea di confine, domandando riguardo il processo ormai terminato anni addietro, o persino degli anni di detenzione della corvina, e in quel momento Tommy si sarebbe precipitato su di lei per salvaguardare la reputazione che tanto aveva faticato per ricostruire, facilmente deperibile con una scudisciata di irascibilità innata della corvina.

«Non mi sembra a suo agio.» Constatò Camila, sommessamente.

Tommy prese un bel respiro, incassò le spalle, e sollevò le sopracciglia. Camila continuò a scrutarlo come se quella putativa risposta espressiva non fosse abbastanza.

«È sempre stata fuori luogo davanti alle telecamere. Lei preferisce restare dietro le quinte, lo sai. Esporsi è l'ultima cosa che vorrebbe, ma purtroppo la boxe professionale è anche questo.» Esplicò esaustivo l'uomo, sempre tenendo lo sguardo fisso su Lauren che articolava dei discorsi coincisi e sommari, intenta a svincolarsi il prima possibile.

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