Capitolo quattordici

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«Dinah, dovresti restare tu in ufficio, io devo andare.» La cubana depose le chiavi sulla scrivania della polinesiana e si avviò svelta verso l'uscita, marchiando la fronte dell'altra con un cipiglio interdetto.

«Come mai tanta fretta?» Domandò l'amica, sollevando il mazzo di chiavi e scrutandolo con familiare avversione.

Non le piaceva gestire le cose in ufficio, imporsi sui colleghi un po' negligenti, litigare con la pigra stampante, evitare i siti d'incontri online perché sorvegliata dalla rettitudine che il compito le trasmetteva. Era una noia, niente che si abbinasse al suo temperamento.

«Devo andare da Lauren, parlarle urgentemente.» Sospirò la cubana, voltandosi verso l'amica per visualizzare l'immancabile sguardo malizioso che affiorava ogni volta che Camila menzionava la corvina, ancora assurta fra le grazie di Dinah.

«Che cosa state combinando voi due?» Ammiccò spudorata la polinesiana, flettendo una matita sotto le sue grinfie.

«Niente, è una storia complicata. Appena torno ti spiego, però ora devo andare.» Sgattaiolò fuori dall'uscio, si chiuse la porta alle spalle e i passi ritmici e frettolosi risuonarono finché non fu inghiottita dal traffico caotico di New York.

E quando non è complicato con voi. Ponderò la polinesiana, sospirando mentre riponeva le chiavi con rispettosa cautela e chiudeva la pagina web sintonizzata sulla pagina di un papabile pretendente.

Camila arrivò alla palestra di Tommy dopo quindi minuti, tempi record per una prudente come lei.

Parcheggiò di fronte all'imponente edificio e si sbrigò a raggiungere l'interno. Un ragazzo dello staff stava addobbando i corridoi per un evento che a breve avrebbe preso vita, così Camila si informò dove fosse Lauren.

«Stamani non si è vista.» Fu la risposta laconica del ragazzo, che l'attimo dopo era già tornato a preoccuparsi di spillare le stelle di carta sullo striscione.

«Mi scusi.. ma, ma.. come non si è vista?» Balbettò perplessa Camila, già in allerta.

«Boh.» Scrollò meccanicamente le spalle l'uomo, facendo penzolare la lingua a causa dell'eccessiva concentrazione richiesta dal suo lavoro.

Camila lo ringraziò con un filo di voce, poi si diresse verso l'ufficio di Tommy e senza nemmeno bussare entrò. L'uomo era già pronto ad apostrofare chiunque si fosse intrufolato nel suo ufficio senza preavviso, ma quando riconobbe i connotati spigolosi della cubana, si ricredette.

«Camila, che succede?» Suonò una nota allarmata nel suo tono, perché l'irruzione impetuosa e inattesa della ragazza non poteva che portare brutte notizie.

«Che.. Dov'è Lauren?» Farfugliò, guardandosi attorno un po' spaesata, perseguitata da mille pensieri malsani.

E se avesse deciso di andare da Albert senza di lei? Se avesse accettato di entrare nella gabbia senza consultarla? Se avesse fatto tutto di sua iniziativa, senza tecnologie specifiche che avrebbero catturato tutto? E se...

«Si sta allenando con Nohemi, perché?» Si crucciò Tommy, scuotendo flebilmente la testa.

Camila tirò un sospiro di sollievo «No perché.. Ah, Dio. Tutto bene quindi, ok.» Sorrise rincuorata, ma il momento idilliaco durò ben poco «Chi è Nohemi?» Corrugò la fronte e rimpicciolì le labbra, scrutando l'espressione interdetta e un po' imbarazzata dell'uomo.

«Una sua... amica.» Replicò cautamente, schivando lo sguardo della cubana.

«E dove posso trovarla? Devo parlarle, è importante.» Addusse Camila, incutendo remore a Tommy che si sentì obbligato a divulgare la posizione della corvina.

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