Capitolo diciannove

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«Stiamo progettando un lavoro in collaborazione con un'agenzia europea. È una cosa grossa, sono molto felice di esserne a capo.» Annunciò inorgoglita Angie, affogando il cucchiaio nel latte, per poi accingerlo alle labbra ricolmo di cereali.

«La nostra è una piccola azienda se paragonata ai grandi colossi della nazione, quindi è strano che abbiano scelto proprio noi, ma ehi! Va bene così.» Proseguì ridacchiando, domando una ciocca ribelle che appuntò strategicamente dietro l'orecchio, cosicché non le solleticasse le labbra mentre aspirava le praline di cioccolato.

«E poi la concorrenza non mi preoccupa. Lo so, lo so, non è da me pensare in positivo, ma sono talmente eccitata per questo progetto che credo di aver adottato una visione ottimistica. È strano, eh?» Angie rise della sua stessa affermazione, dileggiando la sua prospettiva innovativa improntata a positivismo.

«Camila... Camila, ma mi stai ascoltando?» Chiese la bionda, non ottenendo risposta.

Sventolò la mano di fronte agli occhi vitrei della cubana, tentando di detergere la vista le ciglia guastate a mezz'asta.

La cubana scosse la testa, riscosse la schiena e drizzò le spalle. Il suo cucchiaio era annegato nel latte, i cereali galleggiavano in superficie, ma non avevano un aspetto allettante. Chissà da quanto tempo si era incantata. Beh, a giudicare dal primo boccone che assaporò, da molto dato che il latte era più che ghiaccio.

«Scusami, stavo.. stavo pensando ad un cliente.» Si giustificò Camila, sforzandosi di ingoiare un'altra porzione anche se detestava il latte freddato. Riusciva a berlo solo se riscaldato.

«Tranquilla, sono euforica per il mio progetto che non ti ho neanche chiesto come procede in ufficio.» Si preoccupò Angie, allungando una mano sul tavolo per accarezzare quella di Camila.

«Ma no! Non devi scusarti, stai solo esprimendo la tua soddisfazione, e fai benissimo!» Camila intrecciò le sue dita a quelle di Angie, sorridendo tiepidamente «Hai lavorato tanto per guadagnare questa vittoria... La corta la dichiara non responsabile della sua momentanea loquacità.» Scherzò allegramente la cubana, scaturendo una risata poderosa da parte della bionda che la colpì amorevolmente sul braccio.

«Beh, pensa a chi convive con una logorroica tutto l'anno.» Increspò un sopracciglio, reclinando appena la testa e imprimendo un'espressione eloquente sul volto che comminò tacitamente la cubana.

«Io? Stai accusando me? Tu.. tu non puoi accusare me.» Si indignò Camila, fingendo oltraggio.

Angie si alzò dalla sedia, scivolò sugli avambracci e adagiò il mento sui palmi, disegnando un sorriso tendenzioso sulle labbra minute «Tu non la smetti mai di parlare, mentre io mi ammutolisco solo davanti alle cose che mi fanno battere il cuore.» Ammiccò, piazzando poi un bacio sulla guancia della cubana che sorrise blandita dalla lusinga sincera, anche se un po' occultata fra l'ironica insolenza della bionda, ma anche lievemente imbarazzata.

Angie ripose la tazza sporca nel lavello, la riempì d'acqua e la lasciò "a bagno maria". Camila rimase inerme al tavolo, ascoltò con aria assente lo sproloquio della bionda. Sicuramente meritava quello spazio per far evaporare l'euforia, ma il cuore distratto della cubana la naufragava altrove.

«Tu che fai oggi?» Chiese Angie infine, e per puro caso la cubana recepì l'accorta domanda. E, sempre per caso, si ritrovò a rispondere...

«Devo accordarmi un cliente.» Lo sguardo planò sulla stanza, traversandola fino in fondo dove si perse in un punto indistinto sul colore uniforme delle tende «Sarà una cosa lunga.» Sospirò la cubana, deglutendo l'ultimo sorso di sbobba.

Camila avrebbe optato per un tailleur grigio, un po' banale in quanto considerato il completo più tipico per  il lavoro d'ufficio ma comunque efficace, però scelse dei jeans e una camicia bianca perché lei non era diretta in ufficio.

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