Capitolo dodici

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Promettilo, Camz.

Non aveva mai visto due occhi penetrare qualcuno così, con talmente tanto vigore da strappare gli anni.

Scosse la testa, e riprese a lavorare. Non poteva permettersi adesso di vacillare. Estrapolò il documento dalla cartella del desktop, rilesse tutto da capo, senza tralasciare nemmeno una parola. La sua espressione crucciata si infittiva ad ogni riga, martellando contro le tempie. Aveva già fatto scorta di antidolorifici, sapendo bene quanto il mal di testa le invalidasse la giornata. Era tentata di ingollare una bustina, ma la sua filosofia si basava sull'aspettare finché il mal di testa non le fosse scoppiato. Come mettersi davanti ad una bomba ad orologeria, per inciso.

Proseguì la lettura delle pagine, ovvero il resoconto di quanto aveva scoperto fino ad oggi sulla situazione divenuta intoccabile dopo la promessa elargita a Lauren.

Sapeva che era sbagliato e pericoloso impelagarsi in faccende riservate e ambiguamente sinistre... Però era nella sua natura far prevalere la curiosità e la moralità di fronte alle ingiustizie o, come in questo caso, le attività illecite. Aveva scelto giurisprudenza per una ragione, non praticarla più sarebbe stato indicibilmente scorretto verso se stessa.

Chiuse, con uno scatto repentino e dissuasore, lo schermo. Non poteva farlo, non poteva calarsi nei panni di un'investigatrice privata, anche se la sua etica la spronava a razzolare nell'armadio, abbinare qualche outfit sexy e convincere Albert con "la mercanzia". Quello non era morale! Ma, ma.. Era dannatamente tentante l'idea di trionfare sulle illegalità (che lei era sicura esserci) di Albert, che la sua rettitudine passava in subordine.

Fortunatamente fu lo scatto della porta a strapparla da quei pensieri articolati. Dinah entrò con slancio nell'ufficio, con un sorrisetto perverso che non garantiva niente di buono. Al suo seguito un tizio sconosciuto agli archivi di Camila, la quale, alla vista di un estraneo, scattò in piedi e mostrò il palmo della mano, arrestando la loro crociata.

«Che diamine state, anzi stai, facendo!?» Domandò interrogativa la cubana, rivolgendosi principalmente a Dinah, ma il suo sguardo guizzava anche sulla mascella, affetta visibilmente da prognatismo, del ragazzo.

«Lui è Billy, lavora.. ehm-ehm... lavorava nella polizia, adesso è al nostro servizio.» Sorrise angelicamente Dinah, ma lo sguardo congenialmente mefistofelico non glielo toglieva nessuno.

La polinesiana fece schioccare le dita, poi orientò l'indice verso la scrivania, come per indirizzare l'uomo verso di essa, ma lo sguardo avverso e le spalle incombenti di Camila lo indussero a restare fermo.

«Menomale che lavoravi nella polizia..» Recriminò la polinesiana, serrando le mani sui fianchi e sgrullando la testa, sconcertata.

«Camila, ti presento Billy Vogher, più comunemente conosciuto come HackBill. Uhm.. HackBill, capito il gioco di parole? Vabbè! È qui per aiutarci con la nostra "missione".» Ammiccò la polinesiana, alludendo alla serata esagitata che avevano attraversato poche sere addietro.

Camila fece guizzare lo sguardo sul ragazzo. Si morse forsennatamente il labbro inferiore, trovando la forza di ripudiare quell'insediamento nella sua forza di volontà, ma le qualità citate prima si posero in contraddizione e ben presto la cubana di accasciò contro la poltrona facendo segno a Billy di avanzare.

Il ragazzo dispose metodicamente l'attrezzatura sulla scrivania, che consisteva in un computer personale, un foglio e una matita, poi aprì con scenica teatralità il pc portatile, con lo sguardo di chi stava scrivendo qualcosa di epocale. Camila roteò gli occhi al cielo e con un cenno lo spronò a darsi una mossa.

Il ragazzo lasciò perdere gli atti di momentaneo egocentrismo, e si soffermò invece sul suo lavoro. Lo schermo illuminò diversi volti, tutti vagamente ceffi, i rispettivi nominativi etichettavano ogni ritratto.

Fight Back 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora