Capitolo otto

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Camila venne svegliata da un raggio invadente di sole che la scosse con la solita austera tenerezza di una mamma al mattino.

Mugolò infastidita, schermando l'intruso con la falda del cuscino, ma venendo prontamente raggirata dall'astuzia innocua del sole, fu costretta a voltarsi dall'altra parte per contrattaccare.

Il letto era grande, e non vuoto. Il flusso di capelli biondi che rifulgeva sul cuscino e il promontorio giacente sotto le coperte limpide, erano chiari segnali di convivenza. Lo erano da anni ormai. A Camila, nonostante la sua longeva solitudine, seminata e curata con gelosia, non era mai dispiaciuto svegliarsi a fianco di qualcuno. Inizialmente la faceva sentire meno sola nel suo dolore, e non doveva parlarne, non doveva dargli forma; c'era qualcuno lì, lì per lei, e quello era già abbastanza. Quindi, così si può dire, in principio non condividevano sotto lo stesso tetto, ma convivevano nel medesimo sostegno.

Poi, pian piano, la loro presenza era diventata quasi dipendenza, perché quel sorriso tenue e quell'abbraccio solidale erano il pane quotidiano per l'affetto e la fiducia che si fortificavano sempre di più.

Camila non era sicura di averla mai amata, però era certa di essersi innamorata di lei, ad un certo punto della sua vita. Si era innamorata di quella premurosa donna che l'accudiva a fine giornata, della stabilità che promettevano le sue mani, dell'armonia che regalavano i suoi sorrisi spontanei, del suo modo di ordinare i piatti in tavola, facendo attenzione a come disporre le posate.

Si era innamorata della quotidianità, perché amare l'ignoto era come camminare ad occhi chiusi in un labirinto. Adesso qualcuno le aveva teso il famoso filo d'Arianna, e le cose si erano irreparabilmente semplificate. Era consolante la quotidianità nella sua essenza allo stato puro, senza imprevisti dietro l'angolo o irregolarità sulla frequenza.

«Ehi..» Biascicò Angie, sbattendo le palpebre, ancora assonnata «Che stai facendo?» Sorrise tiepidamente, stiracchiando le braccia e il resto degli arti intorpiditi dal sonno.

«Pensavo.» Sorrise rassicurante la cubana, scostando una ciocca di capelli dalla guancia della bionda.

«Mhh.. A cosa?» Domandò in un rantolo assopito Angie, issandosi sui gomiti per sedersi contro la testiera del letto.

«A te.» Replicò Camila, notando l'inflessione delle sue labbra espandersi dolcemente.

Angie le afferrò il mento fra le dita e l'accostò a se, piazzando un bacio casto sulla bocca schiusa di Camila che si lasciò permeare dalla sensazione calorosa, inumidendo le labbra disseccate dell'altra con le sue.

«È sempre bello svegliarsi la mattina accanto a te.» Mormorò giuliva la bionda, giocherellando con il labbro inferiore dell'altra.

Camila annuì impercettibilmente, le stampò un altro bacio e poi scivolò fuori dal letto, venendo subitamente investita da una folata di vento che respirava attraverso la fessura della finestra. Rabbrividì, deprivata dal tepore della coltre. Saltellò rapidamente verso il bagno, evitando sistematicamente il parquet gelato.

Accese il getto dell'acqua, sfilò il pigiama e si immerse sotto la doccia. Lo scroscio si infranse sulla sua fronte, disperdendosi poi lungo le spalle e le clavicole, che fornirono da trampolino verso il suo addome e il ventre.

Quella ritmica staticità che batteva incessante al suolo, sferzando i vetri del box con cullante placidità, ammorbando con carezze decise le palpebre chiuse della cubana, sprigionò momenti tenuti in ostaggio dalla volontà e sequestrati indebitamente alla memoria.

Le ricordava ancora le mani di Lauren che seguivano i suoi anfratti contro la parete delle docce, sotto l'assedio di imperitura pioggia che accresceva il loro ansimante desiderio.

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