Capitolo trenta

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Una settimana dopo...

«Non puoi farlo!» Si impose Angie, strappandole di mano una camicia che Camila stava ripiegando.

«Angie, ti prego. Ti pare il caso?» Chiese retorica la ragazza, protendendo la mano in paziente attesa che la bionda rinsavisse.

«Ma, ma almeno parliamone.» Balbettò disorientata.

«Non c'è altro da dire, ne abbiamo già parlato.» Concluse sbrigativa Camila, tentando di non sembrare troppo crudele ma nemmeno esageratamente costernata.

Lo sguardo della bionda cadde sulla stoffa bianca che stava brandendo, esalò il profumo familiare di Camila, impregnato nel colletto, e dapprima i suoi occhi si addolcirono, poi un guizzo iroso si impossessò delle sue iridi e con un gesto sprezzante scaraventò la camicia sul letto, uscendo a grandi falcate dalla stanza.

Camila prese un respiro profondo e riprese la sua attività, ordinando i vestiti nello scomparto della valigia già riempito per metà. Alla fine quella era la scelta migliore, ne era sicura. Restare a casa con Angie non era razionale tantomeno giusto ma solo una comodità, e Camila detestava approfittarsi di una situazione quando ne veniva a capo. Il dado era tratto; sarebbe andata a vivere da Lauren.

Ne avevano discusso sommariamente ed era un'azione non solo avventata ma anche sconsiderata, ma pensandoci bene avevano già sperimentato un'esperienza analoga tanto anni fa, quando Camila aveva pernottato nella roulotte malridotta della corvina per più settimane consecutive. Erano abbastanza sicure che avrebbero impiegato del tempo per familiarizzare con quella nuova sistemazione e che senza ombra di dubbio sarebbero andate in onda maratone di litigate fino all'alba.. Ma! Ma erano contente così.

Lauren aveva definitivamente sottoscritto la sua parola: avrebbe testimoniato in tribunale, indifferentemente alle conseguenze. Voleva assumersi le sue responsabilità per una volta. A quanto pare si sentiva una specie di paladina della boxe, e per quanto rischioso fosse calarsi in una causa nel bel mezzo del suo rinnovellato esordio, Lauren era del parere che prima dovesse vincere con se stessa e poi sul ring.

Camila ripose l'ultima gruccia e ripose il maglione in alto, poi sigillò la cerniera della valigia e con uno sforzo la poggiò a terra. Scrisse a Lauren che sarebbe scesa in cinque minuti e la corvina rispose con un emoticon che mostrava il pollice all'insù.

La cubana intascò lo smartphone, diede una rapida occhiata attorno per constatare se avesse dimenticato qualcosa nella fretta, ma non le parve di aver tralasciato niente, quindi si avviò verso il soggiorno, traendo un bel respiro.

Angie era seduta sul divano, il piede che traballava nervosamente, le braccia conserte e lo sguardo fisso sul muro, incorniciato in un cipiglio stizzito.

Camila si arrestò a qualche passo da lei, abbassò per un secondo lo sguardo e quando lo rialzò tutto il suo sussiego era svanito. C'era solo tristezza e colpevolezza nei suoi occhi.

«Ci sentiamo presto, okay? Cerca di stare bene e se hai bisogno di qualcosa...» Tentò di addolcire la pillola la cubana, ricevendo chiaramente una risposta acerba.

«Non ho bisogno di niente, grazie.» La bionda si era rinchiusa nella sua fortezza, unico rifugio protetto dove leccarsi le ferite.

Camila annuì rassegnata. Rimase qualche istante incatenata a quel momento d'imbarazzo ineffabile e poi traversò rapidamente la stanza, uscendo.

Chiudersi la porta alle spalle fu un vero salto nel vuoto, ma tirò comunque un sospiro di sollievo. Si sentiva rasserenata e inspiegabilmente leggera, malgrado la cupezza della situazione attuale.

Lauren si era posteggiata davanti a casa, con due ruote sul marciapiede per non avversare le automobili in fila indiana e quindi intasare ulteriormente il traffico. Quando vide la cubana approssimarsi scese dall'auto e si incaricò di riporre la valigia nel bagagliaio. Camila si accomodò sul sedile del passeggero e aspettò la corvina con un sorriso latente che giocava a nascondino sui lati della bocca e sull'ombra delle ciglia.

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