Capitolo ventinove

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Quando sta per succedere qualcosa di brutto, purtroppo non lo sai mai. Il tabacchi ha aperto la saracinesca e primi tabagisti si stano assiepando di fronte all'ingresso. Il sole è sorto, e la notte arriverà comunque. Il cielo è sempre lo stesso, mica è cambiato. Quel cazzo di cielo non cambia. Rimane fermo, immobile, silenzioso. Se qualcuno dovesse chiedermi che cosa succede quando avviene qualcosa di brutto, direi che il cielo non cambia.

E il cielo di New York non era mutato di nessuna virgola cromatica quando Camila si immise nell'abitacolo della macchina di Tommy.

«Perché non mi hai chiamato prima?» Fu la prima frase che proferì, trafelata.

«L'ho saputo un'ora fa.» Si giustificò l'uomo, sgusciando nella coda di vetture, venendo immediatamente assalito dagli automobilisti irascibili.

«Cazzo.» Imprecò sommessamente la cubana, raccogliendo la fronte nella mano e fissando lo sguardo fuori dal finestrino.

«Beh, sei un avvocato o no? Potrai pur far qualcosa adesso.» Malgrado la stizza immotivata di Tommy, si recepiva nel suo tono un'accanita preoccupazione.

«Tommy, non mi sembra il momento adatto per pianificare un contrattacco.» Sentenziò perentoria, dedicandogli uno sguardo ammonitore che l'uomo incassò a capo basso.

«Avremmo dovuto saperlo.. Anzi, tu, tu dovevi prevederlo!» Additò la cubana, scaricando su di lei le colpe di un avvento che solo un paragnosta avveniristico avrebbe potuto presagire.

«Tommy, adesso ti calmi..» Esordì placida Camila «..E la smetti di sparare stronzate!» Terminò enfatica, aizzando il tono da atono a roboante in pochi attimi.

Il ragazzo si passò una mano fra i capelli, nervosamente; emise un sospiro rumoroso è pregno di angoscia, poi strinse con più forza il volante ma parve acquietarsi.

«Cazzo, cazzo!» Urlò invece dopo qualche istante di serenità, sbattendo la mano sul volante.

Camila rimase in silenzio, con il mento poggiato sulle falangi e lo sguardo gettato fuori dal finestrino, ma mai posato davvero sul panorama.

Tommy continuò a blaterare per tutto il tragitto, sporadicamente veniva colto da uno spasmo e colpiva il volante. Evidentemente era incapace di contenere rabbia e preoccupazione assieme, quindi le sfogava con gesti o parole inconsulte. Camila d'altro canto, forse anche a causa del suo austero lavoro, non aveva mai avvertito il bisogno di inveire o urtare qualcosa. Si era ritirata in un meditabondo silenzio, aveva processato le idee e le aveva archiacute tutte, svuotando completamente la testa. Si era insomma affidata ad un metabolismo razionale che faceva parte dei suoi più dominanti istinti.

Era quasi sicura che il suo dna cromosomico non fosse composto da geni, ma bensì da una compatta razionalità che non era solo frutto di anni in carriera, era materiale della sua struttura genetica.

Tommy parcheggiò in seconda fila. Camila si rese conto che erano arrivati solo perché la frenata fu brusca e la spodestò dal sedile, altrimenti sarebbe rimasta immersa nei suoi inesistenti pensieri.

«Scendi tu, io vado a cercare posteggio.» Istruì l'uomo, sbloccando le chiusure automatiche con un unico tocco.

«Se non ti fanno entrare, dì che lavori per l'avvocato Camila Cabello.» Suggerì la cubana, guadagnando forse il primo tiepido sorriso da parte di Tommy che fu tradotto come un ringraziamento.

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