Capitolo ventotto

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Angie aveva voluto dare una festa. Più che una richiesta era stato un vero e proprio ordine. Stava dietro a quel concorso da settimane ormai, la frustrazione e l'esasperazione avevano sfiorato picchi mai conosciuti. Una festa era il modo migliore per celebrare il riconoscimento di tali sforzi.. Ma non era certamente il momento adeguato per indire un party.

Le cose con Camila erano in rotta di collisione. La cubana non era riuscita ad abbattere il suo umore dandole il responso a bruciapelo subito quella sera, ma era intenzionata a farlo dopo la celebrazione. Festeggiare per Angie era importante perché valorizzava il suo arduo lavoro, quindi Camila aveva convenuto che poteva aspettare un'altra notte e metà serata del giorno dopo.

Naturalmente non si era espressa né negativamente né positivamente, chiedendo ad Angie del tempo per riflettere. La bionda se le era bevuta, forse inconsciamente già sospettava  l'esito di quella sospensione, ma comunque nessun fattore implicava la sua sagacia in merito, dato che la mattina dopo il consueto post-it era affisso al frigo e la colazione pronta in tavola.

Camila si cibò di qualche chicco d'uva e due fette biscottate con la marmellata ai frutti di bosco. Assunse un caffè per attivare le sue scarse energie e si diresse in ufficio.

New York era più in fermento del solito. Le auto erano puntualmente imbottigliate nel traffico, il marciapiede affollato di cronici ritardatari o tranquilli turisti che svegliavano in quale bar saziarsi. Camila ebbe l tentazione di chiamare Lauren, giusto per sapere come se la passava, anche se l'ultima volta che si erano viste risaliva alla sera precedente. Non c'è sempre bisogno di un motivo per rintracciare qualcuno, e Camila si convinse di questa filosofia.

Agguantò il telefono, sgomitando fra la ressa che comprimeva anche i suoi movimenti. Compose il numero della corvina e portò lo smartphone all'orecchio. Dopo qualche squillo, scattò la segreteria telefonica. La cubana controllò l'orario sul telefono. Erano quasi le nove. Forse Lauren se le era presa comoda e stava ancora dormendo, o forse era già in palestra ad allenarsi. Decise che l'avrebbe richiamata più tardi.

Aprì la porta principale con un sorriso genuino salutando i presenti. Le segretarie la ragguagliarono sugli ultimi clienti che avevano domandato la sua consulenza, in più l'avvisarono che Dinah non era di buon umore: era entrata in ufficio con gli occhiali neri e il ghigno sulle labbra. Segni inequivocabili di una giornata storta.

Camila comprese che forse era meglio lasciarla perdere per ora e che sarebbe passata a trovarla a metà mattinata, quando gli umori si sarebbero presumibilmente acquietati.

Entrando nel suo ufficio le vibrò il telefono in tasca. Notò il nome di Lauren lampeggiare sullo schermo, ma sfortunatamente non era una telefonata in entrata ma bensì un messaggio.

Ti chiamo dopo. Sono in palestra.

Camila storse il naso, amareggiata, ma si ringalluzzì subito prospettandosi solo due ore di attesa, il tempo che di solito Lauren impiegava all'esercizio senza riserve.

Dispose le sue cose sulla scrivania e si impadronì del primo fascicolo che capeggiava la pila sulla sua destra. Trattava del secondo processo che avrebbe dovuto svolgersi a breve. Il primo era già stato dipanato e avevano ottenuto un risultato eccelso, inaspettato viste le pretese iniziali che avevano demotivato la cubana, ma alla fine si era aggrappata ad un cavillo che le aveva permesso di scamparla.

Adesso doveva dedicarsi alla seconda causa, un po' più complessa ma non irraggiungibile. La cubana si cimentò immediatamente nell'espletamento burocratico, concentrandosi sul suo lavoro, che le concedeva sempre una scappatoia dai problemi personali. Impiegare forze mentali nella compilazione di moduli o nella formulazione di strategie le impediva di riflettere su inghippi amorosi. Ecco perché non fu affatto difficile focalizzarsi sul fascicolo di Monica Brown e stilare approssimativamente una tattica per trionfare al venturo processo.

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