Capitolo nove

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Lo schermo del computer la stava accecando nella stanza immersa nella penombra, rischiarata solamente dal fioco abbaglio che produceva il display.

Compulsava febbrilmente le notizie online, comparandole con quelle che aveva già documentato e raccolto. Perdurava imperterrita a collezionare documenti, impilandoli al lato e sparpagliandone alcuni sul tavolo per ricreare uno schema orientativo che l'aiutasse a non perdere il filo del discorso.

Si sfilò gli occhiali che da un anno a quella parte ne abbisognava per un difetto da presbite. Le immagini le si sfocavano davanti agli occhi, il mal di testa le si condensava in mezzo alla fronte e le tempie pulsavano adirate, spossate per l'incessante lavoro che si protraeva più al lungo del previsto.

Camila lanciò uno sguardo fugace all'orologio, registrando le lancette allineate oltre il numero due. Si massaggiò le palpebre, tirando un sospiro estenuato. Doveva riposare, ma terminare quella ricerca era più precipuo di qualsiasi altra cosa, anche dei suoi bisogni primari.

Inforcò gli occhiali per l'ennesima volta e riprese a leggere con scrupolosa attenzione le pagine virtuali che le scorrevano lente davanti agli occhi. Stava passando in rassegna alcuni cavilli, quando due mani familiari le si poggiarono sulle spalle, sciogliendo subitamente i muscoli contratti dalla posizione mantenuta ostinatamente.

«Vieni a letto.» Sussurrò assonnata Angie, sgattaiolando furtiva all'interno della camicia sbottonata della cubana, lambendo il seno per poi declinare verso la pancia piatta.

«Devo finire qui.» Sbadigliò Camila, piegando la testa all'indietro per osservare il mento pronunciato della ragazza e i lineamenti illuminati dalla luce azzurrognola del computer che appannava la pelle donandole un colore pastello.

«Mila, hai lavorato tutto il giorno e sono già le due di notte passate...» La redarguì con uno sguardo ammonitore ma tenero, preoccupato per il benessere della sua fidanzata che a suo avviso si stava affaticando smodatamente «Vieni a dormire.» Sibilò, depositando un bacio effimero sul collo esposto dell'altra.

«Cinque minuti.» Protestò mugolando Camila, la quale non aveva intenzione di interrompersi a metà dell'opera.

Certo, bramava di potersi stendere sul cuscino e sprofondare in un sonno rigenerante, ma non poteva, non poteva.

«Uhm.. no.» Eccepì la bionda, protendendo il braccio verso lo schermo del pc per sigillarlo, ma un gesto repentino della cubana riuscì a sventare tale mirato attacco.

«No, no... ehi, ehi! No, Angie, davvero, voglio finire.» Camila adottò un tono scherzoso inizialmente, ma sulla seconda parte della frase scandì -quasi compitò- le parole, per sottolinearle l'improrogabilità.

«D'accordo.» Si arrese con un sospiro sconfitto Angie, ripercorrendo a ritroso le dune naturali della cubana, soffermandosi sulle spalle irrigidite dall'affaticamento ininterrotto «Ti aspetto di là.»

Piazzò un altro bacio sulla guancia dell'altra che quest'ultima accolse con un sorriso tiepido, poi una languida carezza delle mani e una occulta promessa di coricarsi quanto prima, mai mantenuta perché la cubana si dilungò in orari notturni altamente aleatori per il sonno incombente e, come facile prevedibile, si appisolò sopra al tavolo, con lo schermo ancora acceso e la guancia premuta contro i fogli inchiostrati di annotazioni fresche "di stampa".

La mattina dopo Angie la svegliò con colpetti decisi sulla spalla, invocando più volte il suo nome sempre con maggior enfasi finché Camila non si destò.

La cubana si guardò attorno spaesata, avvertendo una fitta perforante dietro al collo. Si portò la mano sulla zona dolente, tentò di compiere dei movimenti direzionali per allentare il giogo del dolore, ma invece ottenne l'effetto contrario.

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