Quella era l'ultima sera prima di entrare in casetta (ovviamente solo per chi fosse riuscito ad accedere al serale) ed eravamo tutti agitatissimi. Mangiammo al ristorante dell'albergo scherzando come sempre, ma quando la cena finì nessuno aveva voglia di fare tardi, così restammo al tavolo a chiacchierare per un poco e poi ci alzammo per tornare ognuno nella propria camera.
"Io ho bisogno di fumarmi una sigaretta." Annunciò Irama mentre il resto del gruppo se ne stava già andando.
"Fra, puoi fumarla in balcone con noi." Gli suggerì Biondo esortandolo a salire con lui ed Einar.
"Lo so, ma voglio anche camminare un po'. Devo smaltire la tensione che ho addosso."
Lo capivo: solitamente quando ero troppo io nervosa andavo a correre. E in quel momento, in effetti, di nervosismo ne avevo da vendere.
"Ti dispiace se vengo con te?" Gli chiesi spudoratamente senza pensarci due volte. Lui sembrò sorpreso, ma scosse la testa.
Vidi con la coda dell'occhio Einar e Biondo che si scambiavano dei sorrisetti divertiti per poi sparire su per le scale che portavano alle camere, ma non mi curai di cosa potessero pensare. Al momento, mi interessava soltanto il loro amico. Lo seguii fuori dall'albergo.
Iniziai a camminare in silenzio al fianco di Irama, seguendolo prima lungo la Tiburtina, poi attraverso alcuni dei vicoletti di Roma. Sembrava sapere dove stava andando, o magari non era così e non gli importava nemmeno. La luce dei lampioni e le strade deserte mi ricordarono il posto in cui ci eravamo incontrati per la prima volta.
Passammo un bel po' di tempo in silenzio, quasi come se lui si fosse dimenticato della mia presenza, ma non era così: si vedeva da come regolava l'andatura in modo da rimanermi affianco, da come si voltava leggermente dall'altra parte quando doveva buttar fuori il fumo, per non farmelo arrivare in faccia...
Io non avevo idea di come rompere quel silenzio, quindi fu lui a farlo nel modo più semplice.
"Sei agitata per domani?"
"Tanto." Non gli chiesi come si sentisse lui, perché mi pareva ovvio. "A questo punto non si tratta solo di fare bene le coreografie. Io devo entrare al serale per dimostrare qualcosa a qualcuno, e anche a me stessa."
Glielo dissi anche se non me lo aveva chiesto, ma con lui mi veniva stranamente facile parlare: dava l'idea di una persona che sapeva e voleva ascoltare.
"Dimostrare qualcosa a tuo padre?" Mi chiese a bruciapelo.
Appunto. Sapeva ascoltare e l'aveva fatto con la mia lettera.
"A entrambi i miei genitori, a dirla tutta. E pure a mia sorella." Stavamo camminando ad una lentezza incredibile. "Anche tu canti sempre per qualcuno, vero?"
"Sempre. Spesso è l'unico modo che trovo per dire ciò che non avrei il coraggio di esprimere parlando." Stava venendo timidamente fuori la parte fragile di lui e io la adoravo. "Come va con quella tua coreografia?" chiese riferendosi a Perfect.
"Non credo che riuscirò ad interpretarla bene, ma ormai non posso farci nulla. Mi concentrerò sui passi."
Li si voltò apertamente a guardarmi per la prima volta da quando eravamo usciti dall'albergo. "Non puoi. È come se io cantassi senza rivolgermi a qualcuno: non avrebbe alcun senso."
Mi innervosii appena. "È vero, ma io non so a chi rivolgermi. Non ho nessuno che mi provochi le sensazioni che devo interpretare."
Rimase zitto. Io non sapevo come continuare il discorso e fortunatamente fui salvata dal telefono del ragazzo, che prese a squillare: era una videochiamata.
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Una storia senza una trama. [IRAMA]
FanfictionArianna è una ballerina e una ragazza distrutta. Tutto nella sua vita è filato liscio per diciannove anni, finché a sua sorella non è stata diagnosticata una patologia terminale che nel giro di sei mesi se l'è portata via. Aria si ritrova così con u...