"Facciamo un gioco?"
A questo punto spostai finalmente gli occhi su di lui, perplessa, e quello dovette accorgersi della mia espressione: sbuffò, divertito.
"Non ti sto proponendo niente di strano, tranquilla. Se ti va, ognuno adesso fa delle domande all'altro, che deve solo rispondere sinceramente".Non ero certa che quella proposta non avesse un doppio fine, ma mi limitai ad annuire.
"Perché ti sei portato la birra?" iniziai. Lui sorrise e lanciò un'occhiata veloce al proprio fianco, come per accertarsi che le lattine fossero ancora là.
"Io amo la birra. Nonostante stasera, sono molto più un tipo da pub che da discoteca." Fece una pausa. "Cosa pensi di me?".
Okay, questa era difficile. Era molto difficile, perché non sapevo dove voleva andare a parare. Decisi di essere completamente schietta.
"Da quello che vedo, sei un ragazzo educato, intelligente, sicuro di sé e occasionalmente anche borioso e sfacciato. Nelle tue canzoni, invece, trovo qualcuno di profondo, con un numero esagerato di cicatrici e la faccia tosta di raccontarle tutte. In definitiva, penso che tu sia una persona che ha sofferto tanto e che lo nasconde sempre, tranne che nella musica."
Sospirai profondamente, gli occhi fissi sul mare che in realtà non stavo guardando veramente. Quando mi voltai verso di lui, lo trovai ad osservarmi con un'espressione strana.
"Stupito?" Mosse la testa impercettibilmente. "Non esserlo. In pratica, ho appena delineato un autoritratto." Spiegai.
"Anche tu esprimi le tue emozioni con la musica?"
"Già. In modo diverso da te, però. Io ballo."
Teneva una gamba distesa davanti a sé, mentre l'altra stava piegata scompostamente. Sembrava completamente rilassato.
"Cosa stavi scrivendo su quel foglietto?" Ero sicura che l'avrei messo in difficoltà con quella domanda, infatti lui esitò per qualche momento.
"A questa rispondo solo se prometti che un giorno ballerai per me."
"Promesso." Assicurai senza pensare alle implicazioni.
"Prima stavo scrivendo alcune strofe che mi erano venute in mente. Appena ne avrò voglia, magari le trasformerò in una canzone."
Non so come, ma mi sembrava scontata come risposta. Insomma, era un cantautore: ovvio che in una notte magnifica come quella trovasse ispirazione per una canzone.
Alzai gli occhi al cielo: era ancora scuro e la mancanza di illuminazione intorno a noi rendeva più facile vedere le stelle. "Mi piacerebbe studiare l'astronomia." Affermai, e fu come pensare ad alta voce. Il ragazzo non dette segno di avermi sentito, anche se sarebbe stato impossibile, visto il silenzio in cui eravamo immersi.
"Perché sei venuta qui da sola?" Domandò invece.
"Non sono sola."
"Non credo che tu sia uscita dalla discoteca e venuta sulla spiaggia senza nessuno perché cercavi compagnia. Il fatto che poi il mio irresistibile fascino ti abbia calamitata vicino a me, è secondario."
Risi per la serietà con cui lo disse, poi mi concentrai sulla domanda originale, perché in effetti aveva ragione: avevo cercato la solitudine. Ma il perché? Quello non era semplice da spiegare. Non ero sicura di comprenderlo appieno neppure io. L'ilarità di qualche secondo prima scomparve totalmente.
"Sono troppi i motivi." Conclusi. Avevo intenzione di chiudere lì il discorso, ma qualcosa si ruppe in me. La tristezza mi assalì di nuovo. Non riuscii a trattenermi.
"Credo sia perché ormai mi sono abituata alla solitudine nei momenti difficili. Stasera volevo dimenticare tutto, ma tu me lo hai impedito." Sospirai. Forse mi stavo lasciando andare un po' troppo, ma non potevo farne a meno. "Mi hai fatto da specchio. Ho rivisto in te la persona sola, chiusa e triste che sono stata negli ultimi mesi. Sono venuta qui per lasciarmi andare, dato che in mezzo alla gente non posso farlo. Sono venuta per ricordare in santa pace mia..." La mia voce tremò e sentii qualcosa di salato sulle labbra: mi accorsi solo allora che stavo piangendo. Mi asciugai velocemente gli occhi, ma era troppo tardi. Era andata. Stavo scoppiando. Non riuscivo a fermare le lacrime, né i ricordi che mi scorrevano veloci davanti agli occhi, riaprendo ognuno una ferita dentro di me. Quando iniziai a singhiozzare, sentii una mano sulla spalla.
"Ehi" la sua voce era dolce e delicata. Si spostò più vicino a me. "Ehi, tutto apposto?"
Scossi la testa in risposta e lui dovette capire, perché si avvicinò ulteriormente a me. Non mi era mai piaciuta l'idea di far tanta pena a qualcuno da spingerlo a consolarmi, preferivo mostrarmi forte fuori e morire in silenzio dentro. Quella notte fu la prima volta che mi lasciai consolare veramente. Non conoscevo quel ragazzo, sapevo pochissimo di lui, ma sentivo che aveva un vissuto troppo simile al mio per poterglielo nascondere. Mi sentivo stupida, mi sentivo piccola, mi sentivo fragile. Mi rannicchiai contro il suo petto.
Lui rimase a stringermi finché non mi calmai un pochino. Poi iniziò a parlare.
"Sai, mi dispiace di averti ricordato il tuo dolore. Mi dispiace perché ti capisco e tu stai facendo la stessa cosa con me. Ma forse è un bene. Qualche volta abbiamo tutti bisogno di esplodere, e farlo da soli non basta sempre. Credo che non siamo fatti per restare soli, anche se è difficile trovare qualcuno con cui ci piace stare. Io ho trovato qualche persona così." La sua voce era stranamente pacata, come se fosse stata regolata in modo da non disturbare troppo la tranquillità dei suoni che ci circondavano. Sentirlo parlare era rilassante e straziante al tempo stesso. "C'è stata una ragazza. Non so se l'ho amata, tra noi c'era qualcosa di strano. Qualcosa di così speciale, che mi ha spaventato e l'ho abbandonata. Ora non potrò più dirle quanto è stata speciale, perché se n'è andata per sempre."
Strinsi forte gli occhi. Se n'è andata per sempre.
"Lo so che sono un po' egocentrico se parlo di me, ma..."
"Va benissimo." Lo interruppi. "Se ascolto te, non ascolto me stessa."
Irama sorrise. Un sorriso senza felicità, pieno di amarezza. Rimasi a guardare quelle labbra per non so quanto tempo, completamente abbandonata e ad un certo punto mi addormentai.
Non so se lo fece anche lui, ma quando riaprii gli occhi, eravamo ancora nella stessa posizione. Impiegai un attimo per ricordare chi ero, dove ero e chi era lui.
"Riposata?"
La sua voce mi giunse ancora un po' ovattata, ma continuai a sbattere le palpebre per liberarmi della pesantezza lasciata dal sonno.
"Nemmeno un po'."
Fissai i suoi occhi: erano di un verde stupefacente, intensissimo. Io di sicuro non ero fresca come una rosa, ma anche le sue occhiaie parlavano chiaro. Sorridendo appena, portai gli occhi sul cielo e notai che era molto più chiaro di quando mi ero addormentata. Il suo colore stava cambiando a vista d'occhio. Aspettai, e apparve il sole. La sfera di luce cremisi colorò l'aria intorno, facendo apparire tutte le sfumature dell'arcobaleno.
Ripensai alla conversazione di quella notte, alle mie lacrime e alle sue parole dolci-amare.
"Che senso ha avuto tutto questo? Ci siamo distrutti. Cosa resterà?" Era una domanda insensata, da bimba delle elementari, ma ne avevo bisogno. Irama sembrò rifletterci seriamente su.
"L'alba." Sussurrò. "Ci resterà l'alba."
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Una storia senza una trama. [IRAMA]
FanfictionArianna è una ballerina e una ragazza distrutta. Tutto nella sua vita è filato liscio per diciannove anni, finché a sua sorella non è stata diagnosticata una patologia terminale che nel giro di sei mesi se l'è portata via. Aria si ritrova così con u...