CAPITOLO 4 - DOPO LA TEMPESTA

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Avevamo trovato la forza di alzarci solamente quando il sole era ormai alto. Eravamo tornati sulla strada deserta per raggiungere la sua macchina e lui mi aveva gentilmente portato fino all'albergo in cui alloggiavo.

Al momento di scendere dalla vettura, esitai un attimo.

"Grazie per stanotte." Dissi semplicemente.

"Grazie a te. Mi ha fatto bene averti incontrato, credo."

Abbassai lo sguardo, e quando mi parve ormai chiaro che non avrebbe aggiunto altro, aprii la portiera. Una mano si strinse attorno al mio polso sinistro mentre già mi stavo alzando dal sedile e mi costrinse a voltarmi.

"Aspetta." Si frugò nella tasca posteriore dei pantaloni, tirandone fuori la penna che aveva usato prima e spostò ancora di più il mio braccio verso di sé. Fui davvero sorpresa quando iniziò a tracciare sulla mia pelle dei segni. Dei numeri.

"Nel caso ti andasse di rifarlo" spiegò con un sorriso dopo aver finito.

Io colsi con lo sguardo un'ultima volta il verde chiarissimo dei suoi occhi, poi, senza riuscire a trattenere un sorriso, scesi finalmente dalla macchina.

15 agosto - Era passato poco più di un mese da quando avevo conosciuto Irama. Quel ragazzo mi aveva sorpresa con la sua gentilezza e profondità, mi aveva fatta pensare che non dovevo per forza superare tutto da sola, che qualcuno poteva capirmi. Quel pensiero era durato una notte, giusto finché lui mi era stato vicino. Poi ero ripiombata nella mia vera vita, ero tornata a casa dalla vacanza con le mie amiche e avevo trovato tutto uguale a quando me ne ero andata. Mamma e papà erano come spenti, assenti, e fingevano che non fosse così senza riuscirci. Alcune delle mie amiche mi apparivano sempre più false, mentre altre sembravano volermi far sentire meglio, ma non sapevano come fare.

Ero stata felice di rivedere soltanto una persona, o forse nemmeno quella. Eleonora era la più piccola delle mie sorelle: una ragazzina troppo sveglia e matura per i suoi quattordici anni, ma d'altronde, come me, era stata costretta a crescere in fretta e tutto all'improvviso. Era incredibilmente buona e spontanea, cosa che aveva aggravato la mia posizione quando mi ero trovata a doverla proteggere dal casino che aveva sconvolto la nostra famiglia. Un casino che aveva un nome ed un cognome: il nostro stesso cognome.

Al rientro, mi ero mostrata serena davanti a lei, come sempre, ma alla fine avevo deciso di riprendere a ballare. Stare in casa era davvero troppo pesante e, nonostante la mia buona volontà, non potevo fare jogging tutto il giorno.

La danza mi salvò ancora una volta. Canalizzare tutte le emozioni nei movimenti mi aiutò allo stesso tempo sia a non pensare, sia a pensare più lucidamente. Iniziai a passare praticamente tutto il giorno in palestra, migliorai tantissimo nella tecnica e lavorai al massimo sull'espressività.

Un giorno, mi capitò di ballare una coreografia che non eseguivo da tantissimo tempo: quella montata sulla canzone di Irama. Alla sera, mentre tornavo dalla palestra, non riuscii a pensare ad altro e infine mi fermai a riflettere nel giardino di casa mia: decisi di chiamarlo.

Quando mi aveva scritto sul braccio il suo numero, non ero stata molto certa dell'uso che ne avrei fatto, ma alla fine me lo ero salvato nella rubrica e in quel momento mi venne voglia di chiamarlo. Ancora una volta, quando si trattava di quel ragazzo, non sapevo bene nemmeno io perché stavo facendo ciò che stavo facendo.

Il telefono squillò. A vuoto. Per numerose volte. Alla fine riattaccai, un po' delusa.

Nelle settimane seguenti tentai di richiamarlo due volte. Speravo che, anche se non aveva il mio numero e quindi non sapeva che ero io a chiamare, magari avrebbe risposto, ma non rispose mai nessuno e alla fine decisi di lasciar perdere.

Anche se non lo volevo ammettere, un po' faceva male. Come minimo, lui non ricordava neanche chi fossi e che mi aveva dato il numero. Ma che mi aspettavo? Era palesemente uno di quei tipi che il proprio numero lo lasciavano a una ragazza sì e all'altra pure.

Nonostante questo, però, mi sentivo abbandonata dall'unica persona che mi aveva dato un minimo di speranza. Per qualche giorno il mio umore calò a picco, ma realizzai in fretta che non era la prima volta che venivo delusa da qualcuno e che non mi doveva interessare. Avevo tirato avanti da sola prima, e l'avrei fatto di nuovo. Ricacciai indietro le lacrime numerose volte, poi decisi di puntare tutto sull'unica persona di cui ancora mi fidavo: scelsi me, scelsi la danza e salii sul treno che speravo avrebbe cambiato la mia vita.

Una storia senza una trama. [IRAMA] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora