9. Lingue di fuoco

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"Jeongguk." Tae si spostò dalle sue braccia e si mise a gambe incrociate sul letto. Doveva mettere in chiaro una cosa, prime di illudere il maggiore. "Devo dirti una cosa importante."

Jeongguk spostò lo sguardo dallo schermo del televisore al viso di Taehyung e lo guardò preoccupato a quel tono di voce.

"Certo dimmi." Mise in pausa il film e si sedette sul bordo del letto davanti a Taehyung.

"Ecco. Io e te siamo compagni e quindi siamo destinati a stare insieme, giusto?"

"Giusto. Tata tranquillo. Parla liberamente, io non mi arrabbierò." Lo rassicurò l'alfa, poggiando la mano sul suo ginocchio che strinse.

Mano che poi venne spostata dallo stesso omega sulla propria guancia. Gli piaceva farsi accarezzare lì dal compagno.

"Due compagni dovrebbero amarsi, ma io non provo nulla per te, non ancora almeno."

Sussurrò Taehyung dispiaciuto. I sentimenti non si formavano in due giorni e doveva dirglielo prima che l'altro si illuse di essere già qualcosa con lui. Jeongguk sentì il proprio cuore spezzarsi a quella frase ed abbassò lo sguardo. Era ovvio che lui amasse il ragazzo, poiché erano anni che lo ammirava da lontano. Nascose la tristezza dietro ad una maschera e alzò lo sguardo, per far intrecciare i loro sguardi.

"Non essere arrabbiato, ti prego." Singhiozzò Taehyung, abbassando lo sguardo non riuscendo a reggere il suo sguardo. "Io mi innamorerò di te, ma mi serve del tempo."

"Taehyung. Non sono arrabbiato tranquillo." L'alfa gli prese le mani e fece combaciare i loro palmi.

"Hai bisogno solo di tempo ed io ti aspetterò, va bene? Come hai detto tu due compagni sono destinati a stare insieme. Non sentirti pressato o obbligato ad innamorarti di me, dato che io potrei aspettarti anche per tutta la vi-"

Jungkook fu interrotto dal suono di decine di urla provenienti da fuori la camera da letto.

"Stai qui Tae." Jungkook uscì in fretta dalla stanza e quello che vide fu uno spettacolo orribile.

Il piano superiore della casa branco era completamente avvolto da lingue di fuoco e tantissime creature stavano scappando da là terrorizzate.

"Jeongguk che succede?"

"Tae stai attento!" Jungkook fece da scudo a Taehyung, mentre un forte boato fece arrivare il fuoco ai due lupi.

Un ringhio di dolore uscì dalla bocca del alfa, sentendo la pelle della schiena bruciare..

"Esci di casa. Veloce!" Appena Taehyung fu lontano dal fuoco, l'alfa lo seguì. Lo prese in braccio e corse verso l'entrata.

Fecero appena in tempo ad uscire dalla casa, dato che dopo un secondo essa fu completamente avvolta dalle fiamme.

"Taehyung. Stai bene?" Jungkook mise il piccolo sull'erba e lo guardò preoccupato. Si rilassò, vedendolo annuire e si alzò in piedi. Per fortuna non c'era quasi nessuno quel giorno. Cercò di vedere se ci fosse qualcuno in mezzo a tutto quel fumo.

Sperava di vedere i suoi amici, ma soprattutto sua madre. Non poteva non averla protetta in un momento del genere. Non aveva protetto il suo popolo pur di salvare Taehyung.

"Mamma?" Iniziò ad urlare con le lacrime agli occhi causate sia dal fumo che dalla disperazione di aver perso la sua donna.

Ad un certo punto il suo sguardo notò la sagoma di sei figure poco distinte. Aguzzò la vista e notò Jin, Namjoon, Yoongi, Hoseok, Jimin e Sihyeon.

Erano gli unici presenti fuori dalla casa. Tutti gli altri non ce l'avevano fatta perché erano nei piani superiori che sono stati i primi ad andare a fuoco.

Jeongguk cadde con le ginocchia a terra e ululò, ricevendo in risposta degli ululati dai cittadini che però non sembravano stare bene.

Che cosa diavolo sta succedendo?

Non sentendo l'ululato della madre, Jeongguk capì che ella era morta. Urlò e pianse lacrime amare quel giorno mentre i sette ragazzi guardavano lui e la casa fiammeggiante in silenzio.

Solo l'omega dai capelli color Luna si avvicinò al tremante ragazzo, stringendosi a lui e accarezzando la sua schiena.

"Ci sono io con te, Jeongguk. Ci sono io." Sussurrò al suo orecchio, lasciandolo sfogare e riempire la sua spalla di lacrime.

Sette ragazzi ed una ragazza. Solo loro erano sopravvissuti da quella casa o almeno così credevano.

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