La responsabilità

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15 Luglio 1789

«Arno, lo sai vero che prendere a pugni il muro non cambierà le cose.» disse con tono parecchio ironico il piccolo gatto nero mangiucchiando come al solito il suo triangolino di camembert.

«Come puoi stare così tranquillo dopo quello che è successo ieri?» chiese ad alta voce il giovane, voltandosi verso di lui e incrociando i suoi occhi verdi e felini.

«Ragazzo io esisto da millenni, ho visto anche di peggio.» gli rispose tranquillamente, ingoiando in un sol boccone il formaggio rimasto.

Lui sospirò, sedendosi sul letto, o meglio buttandocisi sopra, come se le sue gambe non riuscissero più a reggerlo.

«Cosa può esserci di peggio? Comt Ténèbre sta tenendo in pugno Parigi e la sta manipolando a suo piacimento...» sbottò lui, con un aria esausta come se non trovasse più una motivazione valida per lottare.

«Senti un po' – cominciò con voce perentoria il piccolo kwami, che nonostante avesse un timbro adeguato alle sue dimensioni, pareva comunque minaccioso – Noèl non ti ha consegnato quell'anello perché tu ti piangessi addosso. Sei un capitano per la miseria, abbi un po' di spina dorsale!»

Arno rimase interdetto per qualche secondo, poi sul volto tornò quello sguardo deciso e sicuro che lo caratterizzava e un sorrisino divertito che dedicò completamente al suo compagno di avventure.

«Hai ragione! Non me ne starò con le mani in mano, mentre Parigi soccombe sotto i miei occhi, farò tutto ciò che è in mio potere per impedire che la situazione degeneri di nuovo in quel modo.» a quelle parole il kwami sorrise di ricambio e si poggiò comodamente sulla sua spalla.

«Questo è l'Arno Dumas Pierre che conosco!»

Il giovane allora gli accarezzò il capino nero con un dito facendogli emettere involontariamente qualche fusa. Non appena se ne accorse Plagg si allontanò stizzito, mentre lui scoppiò a ridere divertito.

«Non c'è nulla da ridere!» brontolò il gattino, a quel rimprovero trattenne le ultime risate e cercò di ricomporsi.

«Non so davvero come farei senza di te Plagg...» disse alzandosi dal letto.

«Probabilmente come hai fatto quando ancora non mi conoscevi.» rispose tranquillamente lui, afferrando un'altro pezzetto di camembert e ingurgitandolo in un solo boccone.

«Avanti, piccolo ingordo, – disse aprendo la giacca della divisa – dobbiamo andare.»

Non appena il kwami si tuffò all'interno dei suoi abiti il ragazzo uscì dal suo alloggio, per poi dirigersi nella sala dove sapeva si trovava il padre.

Bussò alla porta, con più sicurezza del solito, come se fosse sicuro che qualsiasi notizia, ordine o rimprovero avesse sentito pronunciare dopo averla attraversata non l'avrebbe sfiorato.

Fu invitato ad entrare e con un gesto veloce abbassò la maniglia e fece il suo ingresso nella stanza.

«Ci sono nuovi ordini?» chiese tranquillamente, mettendosi sull'attenti.

«Nulla. Ci sono ancora tumulti in città, ma sono facilmente gestibili.» rispose il maggiore, continuando ad osservare la mappa, come faceva di solito.

«Facilmente gestibili? Dopo quello che è successo ieri?» chiese confuso Arno. Era possibile che Parigi si fosse quietata tutta d'un botto, o quasi?

A quel commento il maggiore si voltò: come si aspettava il suo sguardo era severo e rigido, come a rimproverarlo di quella domanda non richiesta.

«È stata una semplice protesta, il re non vuole mettere nel panico la Francia per una sciocchezza simile.»

«Una semplice protesta? Vogliamo parlare delle teste della Guardia Svizzera o di quella del governatore Launay che ieri hanno fatto il giro di tutta Parigi su delle picche e che ora, probabilmente, svettano sulle macerie della Bastiglia? E questa sarebbe una sciocchezza?» sbottò il giovane capitano, non riuscendo più a controllare la rabbia scaturitagli dai ricordi del giorno prima.

«Arno!» tuonò il padre, con il suo solito tono che non ammetteva repliche, ma questa volta il giovane non era disposto ad arrendersi, ubbidendo e facendo il bravo soldatino.

«Mi spiace padre, – iniziò, non preoccupandosi dello sguardo di fuoco che l'uomo gli aveva rivolto per quell'appellativo – ma questa non è più solo l'ennesima ribellione. Questa è una vera rivoluzione e se il re non fa qualcosa, se noi non facciamo qualcosa, Parigi e l'intera Francia crolleranno proprio come la Bastiglia.»

L'uomo di fronte a lui rimase in assoluto silenzio, osservandolo con quei suoi freddi occhi che tanto somigliavano ai suoi.

«Mi avete chiesto di prendere più seriamente il mio ruolo di capitano ed è quello che voglio fare: non permetterò che questo regno crolli.» concluse, uscendo poi dalla porta, senza nemmeno fare i dovuti ossequi.



Stava andando tutto esattamente come voleva lui. La nebbia era ormai talmente densa che la portatrice della coccinella non sarebbe riuscita mai e poi mai a purificarla, mentre percepiva il suo potere aumentare a dismisura.

Sì, presto Parigi sarebbe caduta e i suoi gioielli sarebbero ritornati nelle sue mani.

Makohon Saga _ Amore A VersaillesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora