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A pensarci a mente fredda era ironico che, dopo quell'altalena di emozioni, dopo tutto quello che avevamo vissuto insieme, dopo l'amore, le litigate, dopo le riappacificazioni a base di conversazioni contorte, dopo quei baci rubati che si erano portati dietro mille emozioni e le dichiarazioni spassionate annaffiate da vino da pochi soldi, dopo tutto quello che eravamo stati insieme, uniti al punto che ormai mi ero convinta che lo saremmo stati per sempre, adesso mi trovassi davanti a quello specchio maledetto, ad osservarmi, a giudicarmi, a prendere le distanze da chi ero.

Chi ero davvero?

E come mai ero arrivata ad osservarmi da vicino, ad analizzare ogni centimetro della mia pelle, ogni lieve movimento del mio viso, ogni sussultare di muscoli, come fossi pronta a scattare, a correre, a scappare.

Avevo una bella carnagione luminosa e senza imperfezioni, capelli castano chiari, occhi grandi, di un blu profondo che contrastava con la mia pelle olivastra.

Una bocca rosa, carnosa.

Un bel fisico asciutto: ero alta, proporzionata.

Guardandomi allo specchio, mi ritenevo fortunata: ero una bella ragazza.

Ero anche una bella persona: io davo tutto, nelle relazioni con gli altri, nell'amicizia, nel mio lavoro, in tutto ciò che facevo, ero a trecentosessanta gradi sempre me stessa, nel bene e nel male: ero diretta, pulita, ero limpida e sincera, non potevo mascherare le mie emozioni, nel bene e nel male ero tremendamente passionale, aggressiva, forte, ribelle, indomabile, volitiva ed intelligente.

Certo, ero anche una costante seccatura, complicata, iperattiva, volubile e lunatica, ma chi non aveva difetti?

Lo specchio rifletteva di fronte a me l'immagine di una donna apparentemente felice, tranquilla, dallo sguardo sereno, come se niente al mondo potesse mai alterare il flusso dei miei pensieri.
Allora perché soffrivo così?

Perché avevo l'impressione che tutta la vita mi scorresse davanti agli occhi come un film di serie B?

E perché non riuscivo a trovare il mio posto, in quella successione assurda di eventi?

Perché faceva così male guardarmi allo specchio, mentre mi sistemavo l'acconciatura bianca sulla nuca, quell'acconciatura che era stata scelta mesi prima, quando ancora tutto sembrava un progetto lontano nel tempo. Mesi prima non era stato traumatico scegliere un'acconciatura da cerimonia, l'idea di partecipare ad un matrimonio, nè che ancora la gente si sposasse, ma ora non era normale stare lì, come se appuntarmi quell'acconciatura sulla testa fosse per me la cosa più naturale del mondo.

Non era normale che, anche quel giorno, malgrado tutto, fosse sorto.

Che quell'alba senza senso illuminasse di sole di rosso il mio paese, quell'alba che ora odiavo, mentre l'intero palazzo era in festa, mentre tutti, intorno a me, sembravano contenti ed elettrizzati, mentre fuori suonava alta la musica e c'erano canti e brindisi, c'era festa, c'era rumore di gente felice, c'era un'allegria che non capivo e non riuscivo ad accettare, mentre, dentro di me c'era solo silenzio inatteso, sospeso, stupefatto, congelato in un istante che sembrava eterno.

Osservai l'orologio appeso alla parete alla mia sinistra e, per un attimo, la lancetta dei secondi mi parve non muoversi più, congelata in un attimo di ghiaccio, anche se fuori era estate, anche se tutti erano in festa e solo nel mio cuore c'era tenebra e dolore.

Scossi lentamente la testa, chiudendo gli occhi, come per scacciare un brutto pensiero, come se, se solo avessi tenuto gli occhi chiusi per un po', nessuno si sarebbe accorto di me e sarei potuta scomparire nel nulla.

Mi faceva soffrire rendermene conto così tardi.

Rendermi conto che quel giorno non sarebbe mai dovuto sorgere, che non avrei mai dovuto alzarmi da letto, che non avrei dovuto passare tutto quel tempo davanti a quello specchio del cavolo, nel disperato tentativo di sistemarmi quell'acconciatura stupida che ora odiavo e mi stava storta sulla testa e non aveva alcuna intenzione di fermarsi proprio lì, dove cercavo di appuntarla da un quarto d'ora, al posto giusto.

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