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Alessandro e Diego entrarono in casa reggendo due sporte piene di magliette colorate:

-Sono un po' – commentò Diego perplesso, appoggiando la propria sporta per terra e lanciando una veloce occhiata al numero di magliette pigiate dentro.

-Non devi mica farle tutte, cioè, fai quelle che riesci – Alessandro svuotò il contenuto della prima busta sul tavolo della cucina e io mi sedetti, sistemando vicino a me il kit per il cucito, quello che usavo per le emergenze e non mi aveva mai tradita, nemmeno quella sera di capodanno in cui avevo improvvisamente disintegrato l'orlo del mio vestito elegante.

Rimasero in religioso silenzio, osservando attentamente tutti i miei movimenti: presi la prima maglia ed osservai lo strappo da ricucire, presi ago e filo resistente e mi misi all'opera, senza dire nulla, muovendo agilmente le mie lunghe dita dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori, ripassando il filo e tenendo il segno con l'indice.

-Non devi farle tutte – ripeté Diego infrangendo il silenzio. Alzai la testa per guardarlo, non potevo certo negarlo: ce l'avevo ancora con lui per la sera precedente, perché più passava il tempo, più mi ero convinta che avrebbe dovuto tacere – sono tante.

-Lo vedo che sono tante – risposi bruscamente, forse un po' troppo bruscamente – ma non c'è problema. Sono piuttosto veloce, in queste cose.

-Caspita! Ma non è che lo fai di mestiere? - chiese Alessandro senza notare la leggera tensione che passava da me a Diego, come una scossa elettrica che faceva tremare l'aria e mi rendeva difficili anche le cose più banali, come quella di cucire uno strappo in una maglietta.

-In realtà può capitare che, se c'è bisogno, al negozio qualche volta faccia le riparazioni. Sai, no? Allunga, accorcia, restringi, allarga. Più allarga, che restringi.

-Non vorrei che pensassi che me ne sto approfittando – alzai il viso per guardarlo, distogliendolo dal rammendo perfetto che stava nascendo sotto ai miei occhi, come una complicata cicatrice di guerra. Guardai i suoi occhi bellissimi, il viso al quale avevo pensato ininterrottamente per ore, fino al suo arrivo, fino al momento in cui, finalmente, era di nuovo di fronte a me.

-Non lo penso. No – sorrisi brevemente – lo faccio volentieri. Mi fa piacere.

-Allora ti devo un favore...

-Tecnicamente questo dovrebbe essere un modo per ringraziarti per la macchina. Ringraziarvi – mi corressi in fretta, ma Diego non sembrò colpito, anzi, era tutto intento a sistemare le maglie sul tavolo, come facevo al lavoro da circa tremila anni.

-Non mi devi certo ringraziare – rispose Alessandro con una scrollata di spalle, Diego mi lanciò uno sguardo dal basso, come se si sentisse di troppo.

In fondo, che cavolo era venuto a fare?

Non poteva starsene a casa a telefonare alla sua fidanzata, considerato anche che erano in crisi?

Volevo stare sola con Alessandro, non avevo bisogno della balia asciutta che controllasse che non facessi cose zozze sul divano.

Che nervi...

-Nemmeno a me – intervenne sistemando l'ultima maglietta colorata. Mi guardò con un'occhiata strana, un po' sbieca, un po' sofferta, un po' consapevole, come se solo noi sapessimo un segreto speciale, che non si poteva scordare né condividere col resto del mondo.

Quel segreto rimaneva in sospeso tra di noi e non volevo tenermelo dentro, non ce la facevo e avrei voluto sputarglielo in faccia.

Ero arrabbiata con lui, non potevo nascondermelo.

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