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Mi strinsi nel cappotto, nel silenzio interrotto solo dall'autoradio che suonava musica lounge in sottofondo.

Mi chiesi chi potesse ascoltare musica del genere, ma, senza sapere come, rimasi in silenzio, evitando di commentare, facendo tacere la mia lingua acidula e critica: in fondo, dovevo essere grata a quei due che ora mi stavano riportando a casa senza fare troppe domande.

E, in effetti, in quel momento, non avevo molta voglia di parlare: ero un po' preoccupata per la mia macchina, abbandonata a bordo strada, in mezzo alla campagna, avvolta dalla nebbia e del freddo, chiunque avrebbe potuto rubarmela.

Era una Panda vecchia e malandata, ma era la mia Panda, nonché la mia macchina da sempre, l'unica, per altro, che riuscisse ad accompagnarmi al lavoro senza chiedermi nulla in cambio, a parte un po' di benzina, ogni tanto.

E la batteria, certo.

-Tutto ok? - mi chiese Diego alla guida, lanciandomi un'occhiata nello specchietto retrovisore. Alzai lo sguardo verso di lui e feci un sorriso sforzato, qualcosa che doveva fargli capire che, sì, andava tutto bene, malgrado non mi sentissi proprio a mio agio.

Dopotutto, ero sola, in una macchina con due perfetti sconosciuti, che avrebbero potuto approfittarsi di me da un momento all'altro.

Forse ero stata sprovveduta a fidarmi di loro.

Forse avrei dovuto continuare a chiamare Filippo.

Forse non sarei dovuta salire su quella macchina sportiva, che profumava di cuoio, tabacco e menta.

Alessandro si girò verso di me e mi fissò con aria divertita.

-Sei arrabbiata perché prima ho detto che non sei carina? - alzai un sopracciglio e, con freddezza, risposi:

-Certo che no: so di essere carina, non c'è bisogno certo che me lo dica tu. Il tuo commento era del tutto superfluo e penso anche che fossi più che altro spaventato dal mio spray al peperoncino.

Scoppiò a ridere e disse:

-Non essere così sicura di te, scommetto che ci avresti messo venti minuti solo per capire come si svita il tappo – circondò il poggiatesta con le braccia, voltandosi verso di me, dedicandomi, di colpo, tutta la sua attenzione.

E io mi concentrai su di lui.

Lo guardai meglio e più da vicino: era un ragazzo molto, davvero molto carino.

Mi soffermai sulle sue labbra sottili, il mento leggermente a punta, gli occhi verdi, di un verde intenso e chiarissimo, con lunghe ciglia nere che gli davano uno sguardo profondo, misterioso, sexy, indagatore.

Mi piaceva il suo sorriso, che avesse le fossette ai lati della bocca, che i suoi capelli fossero corti e neri, sistemati con una logica tutta propria, che dentro alla sua bocca brillasse un piercing, piantato sulla punta della lingua come un insulto, che dal suo collo forte spuntassero i segni di un tatuaggio che chissà dove andava a finire, che fosse così alto e protettivo, mi piaceva il suo essere mio complice, anche se l'avevo appena conosciuto e mi piaceva che si fosse voltato verso di me, concentrandosi sui miei occhi, come se non esistesse altro al mondo, a parte me.

Mi piaceva che fosse sexy e che con un semplice sguardo avesse potuto conquistarmi come se avessi avuto solo sedici anni, come nei film, come nei fotoromanzi da quattro soldi che si leggevano negli anni sessanta.

Che mi guardasse con un'aria divertita e senza pensieri, senza giudicarmi in nessun modo, solo concentrandosi su quello che stavo dicendo, per quanto sciocco o banale potesse essere, quasi mi stesse studiando per cercare di capirmi di più.

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