Dovevamo ripartire da qualche parte, ricominciare a vivere in una specie di normalità precaria che ci permettesse di abbassare la temperatura e rallentare il battito del cuore ad un livello accettabile.
Fino a quel momento avevamo vissuto in una specie di irreale bolla di sapone, senza vivere davvero, senza guardaci neppure negli occhi: non c'era concretezza, non c'era neppure, un vero rapporto, avevo la dolorosa certezza che se l'avessi sfiorato, avrei perso tutte le mie certezze, mentre dovevo tornare sui miei passi, per capire se, per noi, poteva esserci un qualche futuro, qualcosa, di qualsiasi tipo.
E non poteva esserci occasione migliore della cena del venerdì sera.
Un appuntamento al quale avevamo rinunciato per rancore, per miserie, per dolore, per vergogna, paura e rimorso, una tradizione infranta nel peggiore dei modi.
Ci trovammo, il solito gruppo, gli amici di sempre, le poche certezze che rimanevano nei nostri fragilissimi e complicatissimi rapporti di coppia, cinque persone diverse in tutto, diverse da tutto, diverse per sempre: cinque anime in difficoltà, che tentavano di incontrarsi a mezza via, cercavano semplicemente di stare a galla in quel vortice furibondo che ancora ci ostinavamo a chiamare vita.
C'era Alessandro, un po' confuso perché non capiva bene come si fossero risolte le cose, come mai io e Diego ci fossimo odiati e tenuti a distanza per mesi per poi ritrovarci un venerdì sera qualunque di inizio estate, come se non fosse mai successo nulla, alla ricerca dei nostri sorrisi complici, gli sguardi divertiti, ascoltando guardingo le mezze parole senza senso concreto di chi pian piano riprendeva in mano un rapporto dopo averlo messo duramente alla prova, ma Ale non capiva bene, quindi stava sul chi va là, nel timore di una nuova tempesta imminente.
Tutto, ai suoi occhi, doveva apparire confuso, complicato ed incomprensibile.
O, forse, più semplicemente, non voleva capire, non voleva entrare nelle nostre dinamiche, per non invaderle, per non doverle comprendere, perché era più facile chiudere gli occhi e concentrarsi sui propri problemi, per non dover vedere altro. Non era distratto, superficiale o insensibile: non era cattivo, forse, Alessandro non voleva semplicemente guardare in faccia la realtà dei fatti, forse poteva accettare tutto, tranne che quello che legava me a Diego, che ormai era evidente a tutti.
O forse no.
C'erano Walter e Filippo che si stuzzicavano e si prendevano in giro. O, meglio, Walter prendeva in giro Filippo che rideva scioccamente come un ragazzino alla prima cotta. E anche tra di loro i rapporti non erano molto chiari, in quella strana stanza dai colori soffusi, non si capiva cosa li unisse o che relazione avessero instaurato, anche se era chiaro che erano legati a doppio filo, era una certezza che non aveva bisogno di molte spiegazioni.
C'era Diego, sguardo ombroso, occhi grandi, ancora incredulo di trovarsi lì con noi, ancora una volta, per un'altra sera, dopo essere stati separati per quella che sembrava una distanza eterna ed insormontabile, grande quanto l'oceano profondo, dopo avergli parlato male, dopo esserci allontanati di colpo, dopo che ci eravamo feriti ed offesi, dopo esserci sputato addosso gli insulti peggiori, ecco, pareva impossibile trovarsi ancora lì, tutti insieme, io e lui, noi, che strano.
Quella sera c'era anche il piccolo Federico, che tenevo sulle ginocchia mentre mangiava la sua pappa, imbrattandosi ed imbrattandomi, Ale mi diceva di pulirmi, si preoccupava di quelle macchie rosse di pomodoro sulla mia maglietta bianca, ma l'unica cosa a cui potevo pensare era quel bambino paffutello che rideva battendo le mani e mangiava e metteva le dita dappertutto, immaginandomi cosa volesse significare avere un figlio tutto mio: ero una donna, avrei potuto avere già un figlio, ma l'idea stessa mi pareva assurda ed inaccettabile, quasi non formulabile.E poi c'ero io, che stentavo con ogni sforzo di mangiare sotto lo sguardo preoccupato degli uomini della mia vita, ma quel cibo nel piatto era orrendo, puzzava e sapevo che mi avrebbe fatto solo male. Ero complicata, confusa, stupidamente felice ed infelice al tempo stesso, inconsciamente beata di quel nostro stare insieme, dopo mesi di buio e solitudine, di lacrime in una stanza chiusa: dovevano esserci tutte quelle persone al mio fianco, per essere serena e questa era una certezza.
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Segreto
RomanceRebecca è superficiale, infantile ed annoiata: nella vita, non ha mai lottato per nulla, tanto meno per amore. L'incontro casuale con due ragazzi cambierà la sua vita per sempre, ma saprà gestire sentimenti per lei sconosciuti?