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Uscimmo all'aria frizzante e pungente della tarda mattina.

Avevo indossato un paio di semplici jeans e un maglioncino pesante colorato: sportiva e ben coperta per ripararmi dal freddo vento che spirava da nord.

Aveva smesso di nevicare da qualche giorno e grossi cumuli di neve nera di smog si ammucchiavano ai lati delle strade, coperte da un pericoloso strato di ghiaccio sottilissimo. La macchina sportiva di Diego sbandava pericolosamente ad ogni curva e mi dovetti più di una volta aggrappare alla maniglia della portiera, per evitare di sbatacchiare a destra e a sinistra.

-Vai piano – sibilai con lo stomaco contratto.

-Scusa – disse senza distogliere lo sguardo dalla strada – in questa dannata città il sale per sciogliere la neve -finisce regolarmente la prima settimana di novembre.

-Non nevicava così tanto da anni – borbottai puntellandomi coi piedi, nello stupido tentativo di frenare, ben sapendo che nessuno dei miei movimenti poteva avere qualche effetto sulla guida di Diego.

Alla radio suonava una canzone di mille anni prima, in cui una bella ragazza chiedeva di aver fiducia in lei, di confidarsi con lei, di credere in lei.

-In Finlandia come fanno? - chiese spazientendosi, sterzò bruscamente per evitare un incauto ciclista che pedalava al bordo della carreggiata.

-Vai piano, per favore – ripetei preoccupata.

-Stai tranquilla.

-Forse devi mettere le catene.

-La strada non è così ghiacciata da mettere le catene. C'è ghiaccio a tratti – si giustificò facendo una smorfia.

-Io le metterei lo stesso.

-Se le metto, rovino le gomme.

-Se non le metti, rovini la mia salute – ribattei rigidissima.

-Sei davvero spaventata? - chiese rallentando di colpo, mentre il posteriore della macchina sbandava leggermente. 

-Un po' – ammisi senza guardarlo.

-Siamo arrivati – disse fermando dolcemente la macchina – ti prometto che al ritorno metterò le catene.

-Non avevi detto che si rovinavano le gomme?

-Forse si rovineranno, ma non posso vedere la tua espressione terrorizzata e non fare nulla– si giustificò aprendo la portiera.

Aprii a mia volta la portiera e scesi appoggiando i piedi sull'asfalto freddo.

Alzai lo sguardo per rendermi conto di dove ci trovassimo: davanti a noi c'era una enorme pista di ghiaccio all'aperto, dove diverse persone pattinavano più o meno elegantemente. Le luci delle festività ormai passate erano spente e tristi, ma, intorno, l'aria sapeva ancora di Natale.

Lo guardai perplessa:

-Una pista di pattinaggio?

-Un po' di attività fisica non ci farà male – fece spallucce – e poi so che sei una ballerina, non dovresti far fatica a muoverti sul ghiaccio. E io avrei bisogno di un'insegnante, perché credo di essere proprio incapace.

-Dovrei insegnarti a pattinare sul ghiaccio? - chiesi divertita.

-Ti va? - si fermò di colpo, un po' perplesso, col naso arrossato dal vento freddo, la sciarpa che gli copriva la bocca, un berretto di lana calcato malamente sul viso, quasi fosse un gangster d'altri tempi, un malavitoso negli anni '80.

-Certo che mi va! - esclamai entusiasta – Comunque definirmi ballerina è una parola grossa. Ero brava, ma tanti anni fa. Adesso sono fuori forma ed arrugginita. Ma forse sono ancora in grado di combinare qualcosa di decente. 

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