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Aprii gli occhi lentamente, mettendo a fuoco il mondo che mi circondava, mentre un raggio di sole fuori stagione filtrava impertinente attraverso il vetro della finestra.

Occhi pesti, pancia in giù, una gamba piegata, profumo di qualcosa di caldo e familiare, respiro tra i capelli, strana sensazione di benessere confuso, inspiegabile, bocca impastata, labbra gonfie, ancora tanto sonno, un crampo al piede, la certezza di trovarmi a casa, un braccio che mi circondava le spalle e, stranamente, non pesava, non ne sentivo la consistenza, forse perché era mio, quel braccio, parte del mio stesso corpo. Occhi grandi, grandissimi, grandi come tutto il mondo, puntati su di me, ad osservare ogni minimo mutamento del viso, ogni singolo, impercettibile, movimento di muscolo, per vedere se ero felice, triste, confusa o serena, se avevo rimorsi o rimpianti, se avevo riposato bene tra le sue braccia che ormai chiamavo casa.

E infine, all'improvviso, come il sole dopo la tempesta, il suo sorriso dolce, che valeva più di mille parole, più delle spiegazioni, più di tutto il benessere che vivevo in quel momento.
Non ero mai stata meglio, non ero mai stata più felice, ora poteva davvero succedere tutto: ero pronta ad affrontare l'inferno, dopo quella notte, ero invincibile, potevo combattere ciò che mi attendeva dietro l'angolo, bastavano i suoi occhi, bastava quel sorriso a rendermi forte.

Era stato sesso.

Ma era anche stato amore, del tipo più profondo ed incomprensibile, perché non esistevano parole che potessero definirlo o anche solo lontanamente descriverlo: ero così sopraffatta che riuscivo a malapena a guardarlo negli occhi, ricambiando il suo sguardo, ben sapendo che, fossimo mai stati lontani o divisi, non sarei stata in grado di fare nulla, nemmeno di respirare.
Era stato incredibile, talmente forte da disorientarmi, da farmi perdere il concetto di spazio e tempo: c'era solo lui, c'eravamo solo noi e non contava null'altro.

Ancora assonnata, sbattei gli occhi una, forse due volte, poi tesi una mano sul suo viso, una leggera carezza sulla guancia, capelli sparsi sul cuscino, la punta dell'indice per scostargli un ricciolo dalla fronte, mi strinsi ancora a lui, per sentire calore, per sentirmi al sicuro, per non cadere nel vuoto: era inevitabile tenerlo stretto per non crollare, l'ultima ancora di salvezza di fronte al baratro. E, con la punta delle dita, sentivo la sua anima perfetta, che era perfetta per me, perché combaciava con la mia, non c'erano parole sufficienti per potermi spiegare, per dirgli che lo amavo di un amore senza nome, senza limiti, senza confini.

Sarei rimasta in quel letto per sempre, solo per continuare ad accarezzarlo, senza parole, senza nemmeno un sussurro.

Era stato inutile e sciocco negarci, allontanarci, dirci che non dovevamo, che non potevamo, addirittura che non volevamo: non c'era niente di sbagliato nei nostri sentimenti, lo sentivo lì, in quel letto disfatto che sembrava un campo di battaglia e non c'era nient'altro, al di fuori di quella camera.

Diego ed io ci capivamo senza doverci parlare: era bellissimo guardarlo senza dover sprecare fiato, senza dovergli spiegare come mi sentivo, quanto fosse bello essermi risvegliata quella mattina tra le sue braccia, quanta sicurezza riuscisse a darmi anche in quel momento precario, quanto gli ero grata per aver sistemato nuovamente tutto, per aver dato un senso alla mia vita, rendendola perfetta. Non dovevo dirgli che fare l'amore con lui mi aveva lasciata prostrata e senza fiato, che addormentarmi tra le sue braccia era stato emozionante, così come lo era stato riaprire i miei occhi e trovarlo lì, ad abbracciarmi, a guardarmi dormire, con un leggero sorriso soddisfatto e ancora incredulo sulle labbra. Sarei rimasta in quella stanza, dentro a quel letto per sempre, sarei rimasta eternamente sua, qualsiasi cosa fosse successa. E ne ero convinta, ne ero convinta davvero.

Le nostre mani intrecciate, i suoi polpastrelli che accarezzavano lievi la mia schiena, dandomi brividi che non sapevo spiegare, ero lì, con lui, non dovevo chiedere altro.

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