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Ci rendemmo conto, all'improvviso, che i nostri cellulari risultavano staccati da quasi due giorni.

-Direi che sia ora di accenderlo - dissi ridendo, osservando il mio telefono, che non era mai stato muto per così tanto tempo e non mi era mai sembrato più inutile ed estraneo. Non avevo bisogno di sentire nessuno, non avevo voglia di sentire amici o parenti, non volevo dare spiegazioni o svelare dove fossi: quello era il mondo perfetto dove esistevamo solo io e lui, dove nessun altro al mondo poteva accedere.

-È proprio necessario? - chiese facendo una smorfia: staccai gli occhi dallo schermo che si stava illuminando, per fissarli su di lui, che mi osservava imbronciato, come un bambino offeso.
Non lo avevo mai visto più bello, non era mai stato più affascinante di quel momento: così, appena sveglio, in quella mattina illuminata da un pallido sole che filtrava timido attraverso le finestre della sala, quel sole che baciava i suoi capelli castani, facendoli sembrare quasi più chiari. Mi chiesi come sarebbe stata la mia vita con lui, cosa sarei stata in grado di costruire, dove saremmo arrivati e dove ci avrebbe portati quella storia così complessa e contorta.

Avevamo smosso mari e monti, pur di stare insieme, e ora che ci trovavamo di fronte alla realtà di esserlo davvero, non sapevo più come comportarmi, cos'altro chiedere.

Quella era la felicità e, per la prima volta, me ne rendevo pienamente conto.

Riportai gli occhi sul display colorato del mio telefono che si stava accendendo: inserii il codice PIN ed attesi che rintracciasse campo.

Tempo qualche secondo ed iniziò a squillare, annunciandomi l'arrivo di una serie quasi infinita di messaggi.

Alzai lo sguardo verso Diego, il quale, sbuffando impaziente, commentò:

-Manchi due giorni e il resto del mondo non sa vivere senza di te...

-Strano – risposi aggrottando la fronte.

-Cos'è strano?

-Tutti questi messaggi... sono tutti in segreteria telefonica – composi il numero per ascoltare e misi il vivavoce.

La voce di Filippo arrivò lontana e distorta, così diversa da come la conoscevo che feci quasi fatica a riconoscerla, c'era parecchio rumore in sottofondo, pareva fosse per strada.

"Rebecca, dove sei? Chiamami appena senti questo messaggio".

E il secondo:

"Chiamami, subito. È urgente e non sto scherzando".

Mi sedetti sul letto, perché non serviva avere un animo che presagisce tragedie, per capire che c'era qualcosa che non andava:

"Rebecca, appena accendi il telefono chiamami. Alessandro ha avuto un incidente. Siamo all'ospedale, per favore. Chiamami subito".

Alzai lo sguardo verso Diego, senza alcuna reazione.

La mente lavorava forsennatamente, il cuore s'era fermato, il mondo intero s'era fermato.

Diego accese il proprio telefono e trovò diversi messaggi di Walter, quasi identici a quelli che mi aveva lasciato Filippo.

Mentre noi vivevamo un amore clandestino, che doveva essere nascosto talmente bene da non poter neanche essere vissuto alla luce del sole, Alessandro era all'ospedale e i nostri amici, preoccupati e disperati, ci cercavano.

 -Rebecca! - chiamò la voce di Filippo, stanca, preoccupata, ansiosa, dall'altro capo del telefono – Ma dove sei? Sono due giorni che ti cerco.

-Scusa – cercai di giustificarmi – non prendeva il telefono – mentii, sentendomi uno schifo.

-Torna a casa, ovunque tu sia. Alessandro ha avuto un incidente, l'altro ieri notte. Devi venire subito: chiede di te, devi fare il prima possibile.

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