Hass

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Claudio

Una settimana di sospensione dall'ufficio con prosecuzione del lavoro ai progetti da casa.
Ecco cosa ci è valso quello stupido siparietto nel parcheggio della società.
Andrea era nero e ci ha assicurato che il prossimo sgarro sarà l'ultimo per entrambi specificando che, il suo, è un team di professionisti e non un asilo nido.

Ho provato in tutti i modi a spiegargli che non era colpa di Mario ma mia, che se doveva punire qualcuno quello ero io, ma lui non ha voluto sentire ragioni, o cambia la nostra condotta o nessuno dei due metterà più piede lì dentro.

Faccio avanti e indietro tra divano e letto da ormai tre giorni, mi trascino da una stanza all'altra come uno zombie e penso che, tutto questo, io non me lo merito. Ho fatto tante stronzate in vita mia è vero, ma perché ora che ho deciso di mettere la testa apposto deve essere tutto così complicato.

Dopo averci a lungo riflettuto, decido quindi di scrivere ad Andrea per chiedere un'ultima volta il suo aiuto, e spero che me lo conceda.

Afferro il telefono e digito velocemente sulla tastiera, poi lo blocco e attendo, pochi minuti che sembrano un'eternità.

Prego Andrea mentalmente di rispondere e lui lo fa, mi invia l'indirizzo di casa di Mario come da me richiesto, ma niente di più. Mi sta dando fiducia perché sa che i miei sono brave persone e probabilmente nemmeno lui capisce cosa abbiano fatto di male per meritarsi un figlio scapestrato come me.

Forse il mio capo mi reputa ormai un incompetente e probabilmente questa è l'ultima chance che ho per dimostrargli che non sono solo un guaio per lui.
Almeno questo lo devo a mio padre.

Mi vesto velocemente ed esco di casa per raggiungere il posto che mi è stato indicato.
Quando arrivo noto che il quartiere in cui abita Mario è completamente diverso dal mio. Niente attico in centro, niente vista sul duomo, niente di lussuoso, solo tanti piccoli palazzi vecchi ma ancora ben messi, la maggior parte in color mattone.
Cerco il suo indirizzo e quando lo trovo mi reputo fortunato dal momento che il portone è tenuto aperto da un uomo forse sulla cinquantina con delle buste della spesa in mano "ragazzo devi entrare?"

Annuisco con la testa e butto uno sguardo veloce sull'orologio che indica le otto e mezza.
Rifletto solo ora sul fatto che forse Mario non è nemmeno in casa, ma ormai sono qui e vale la pena provare.

Percorro le scale ed arrivo al secondo piano, la prima porta a destra è la sua ed il nome del proprietario è leggermente oscurato con un'etichetta bianca con su scritto a penna il suo cognome.

Faccio scorrere le dita su quelle cinque lettere scritte di fretta ma in bella grafia, e poi busso.
Non ricevo risposta, ma continuo imperterrito certo del fatto che prima o poi, se è in casa, aprirà anche solo per insultarmi.

Dopo pochi minuti di attesa e qualche colpo sulla porta questa si apre piano, ma non appena Mario mette a fuoco la mia figura tenta subito di richiuderla, anche se inutilmente dal momento che prontamente riesco a bloccarla con il piede.

"Vattene" ha gli occhi rossi di chi non dorme da giorni, i capelli scomposti che ricadono sulla fronte ed una maglia nera che è da una parte infilata nei pantaloni grigi della tuta che indossa.

Spingo la porta costringendolo ad indietreggiare e riesco ad entrare nel suo appartamento pur restando sulla soglia.

"Che vuoi?" fa un passo verso di me mi blocca sulla soglia per impedirmi di andare oltre.

"Parlare" non demordo, ma affronto il suo sguardo cupo con un pizzico di spavalderia.

"Non voglio parlare con te" mi inizia a spingere nuovamente verso l'esterno ed è a questo punto che decido di dimenticare le mie buone intenzioni, gli blocco i polsi e lo spingo prima all'interno e poi contro la porta, che sbatte violentemente e finalmente si chiude estraniandoci dal resto del mondo.

Du und ichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora