Wiedersehen

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Claudio

Il primo giorno di lavoro è un po' come il primo giorno di scuola, c'è l'emozione, l'agitazione e persino un po' di paura.

La notte prima non dormi perché continui a porti domande su cosa succederà da questo momento in poi, come saranno i colleghi e se sarai all'altezza di iniziare a mettere la testa a posto per poter costruire finalmente il tuo futuro.

La parola futuro mi ha sempre fatto paura e per questo ho sempre cercato di non pensarci, di godermi il presente e di vivere giorno dopo giorno all'insegna della spensieratezza, cogliendo ogni piccolo istante che la vita decideva di regalarmi.

Prima o poi però arriva il momento di crescere, o quantomeno di dedicare le prime otto ore del giorno a fare qualcosa di produttivo, per te stesso.

Così stamattina sono uscito di casa, ho fatto un giro per Milano ed ho constatato quanto diversa sia questa città rispetto alla mia bella Verona.
Poco sole, pochi volti conosciuti e troppe, decisamente troppe, persone.

Mio padre mi ha pagato un attico in centro per un anno, l'esatta durata del mio contratto che al termine potrà essere rinnovato o no.
Andrea è stato chiaro al momento del colloquio "qui dentro si può sbagliare, ma fuori da queste mura non accetto errori."

Ho annuito fingendomi affidabile ed ovviamente gli ho omesso la parte in cui io non faccio altro che combinare guai.
Sia chiaro che io ci provo ad evitare le situazioni scomode, ma la mia vita è un susseguirsi di eventi catastrofici in cui mi imbatto continuamente pur non volendo.

È anche per questo se mio padre il giorno in cui ho compito trent'anni mi ha posto un veto: "da oggi devi mettere la testa apposto," ed e per questo che mi trovo a Milano.

Andrea è il figlio di un caro amico di mio padre e così ha deciso di accogliere la sua richiesta ed assumermi.

Insomma tutto sembrava andare liscio, nessun inceppo, almeno fino alle 9:00 in punto di questa mattina, quando qualcuno lassù, a cui evidentemente non devo andare granché a genio, ha deciso di farmi una grandiosa sorpresa.

"Cosa ci fai qui?" mi afferra per la camicia e mi strattona lungo i corridoi.

"Tu che ci fai qui?" rispondo con calma e pacatezza a questa furia infernale che continua a trascinarmi da una parte all'altra degli uffici.

Si blocca, afferra il mio colletto e lo tira un po' al punto che un bottone salta dalla camicia.

"Sei diventato violento" sorrido e lo vedo innervosirsi ulteriormente "mi piace."

Molla la presa e si allontana quasi scottato da quel contatto troppo ravvicinato che lui stesso ha dettato tra noi.

"Tu sei un maniaco" scoppio a ridergli in faccia consapevole che il mio atteggiamento lo farà innervosire ancora di più.

Però devo ammettere che è originale, maniaco proprio non me lo aveva mai detto nessuno.

"Rilassati, non sapevo lavorassi qui e che ti piaccia o no, da oggi dovrai lavorare con me" sorrido maliziosamente e penso a quanto sia strana la vita.

L'ultima volta che ho visto Mario era un po' più basso, senza barba e con i capelli più corti.
Ora è un uomo, o almeno in apparenza, dal momento che con il suo atteggiamento non sta dando dimostrazione di grande maturità.

"Piuttosto mi licenzio" abbassa lo sguardo e stringe i pugni.

Tipico di lui mettere il broncio e impuntare i piedi quando la vita gli riserva sorprese non gradite, quando ciò che aveva pianificato prende un altro verso.

Du und ichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora