Roar

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La cicatrice faceva parecchio male. La mattinata in palestra era stata decisamente proficua e, con il passare delle settimane, avevo sviluppato dei muscoli piuttosto abbondanti nelle braccia e nelle gambe. La ragazza che mi seguiva in palestra era una personal trainer decisamente eccellente e il mio fisico ne era la prova schiacciante. Potevo dire di essere fiera del risultato ottenuto, piuttosto difficile per una perfettina come me.

Quando arrivai al lavoro, verso le due e mezza del pomeriggio, Kyle era fermo davanti la porta del mio ufficio con addosso la divisa dell'FBI. Il suo sguardo da falso angioletto non tradiva nessuna emozione. Quando mi vide arrivare estrasse dalla cinta la radiolina e disse velocemente qualcosa. Alzai un sopracciglio, non ero riuscita a sentire quanto aveva detto. Dovevo passare alla fase due, essere falsamente gentile.
«Ciao Kyle.» Mi fermai di fronte a lui, pronta per entrare nel mio ufficio.
«Ciao Jess. Stamattina non puoi entrare nel tuo ufficio. Ian ti vuole nel suo subito. Avete molto di cui discutere.» Il sorrisino da schiaffi che Kyle aveva dipinto sul volto, mi fece improvvisamente prudere le mani. Cercai di trattenermi, perché non meritava la mia ira, non in quel momento almeno. Feci dietrofront e andai dritta all'ufficio di Ian.

Bussai e senza aspettare una risposta entrai. Nella stanza regnava il caos assoluto. Che diamine era successo?
«Ciao Ian. Che piacere vederti, di cosa hai bisogno?» Quella mattina avevo indossato dei jeans blu scuro, i miei amati stivali al ginocchio in camoscio e un maglioncino nero, il tutto completato con il mio cappotto blu scuro. Ian era seduto sulla poltrona dietro la sua scrivania e stava leggendo, forse, un fascicolo giallognolo che teneva tra le mani e che venne prontamente chiuso quando io aprì bocca.
«Buongiorno Jess! Ti stavo aspettando. Oggi sono sicuro che ti divertirai. Seguimi.» Ian scattò in piedi e come se nulla fosse successo e si avviò verso l'ascensore. Lo seguii senza proferire parola. Ero stanca di programmare sempre tutto, ogni tanto un po' di improvvisazione fa bene no? Scendemmo sottoterra, fermandoci al piano superiore rispetto al poligono. Quando le porte dell'ascensore si aprirono, per poco non sgranai gli occhi, lasciando trasparire le mie emozioni. Jack era lì davanti a me, nel quartier generale del nemico e stava addirittura sorridendo, come se tutto questo fosse estremamente normale. A volte mi domandavo se lui lo era.
«Finalmente siete arrivati! Il nostro amico si stava stancando di aspettare. Prego Ian accompagna Jess nella stanza 3B.» Non so dire il perché lo sapessi, ma il tono della sua voce era diverso dal solito. Non sembrava più lui. Seguii senza fiatare Ian, che come minimo per architettare tutto questo casino aveva coinvolto anche Kyle, a meno che anche lui non ne fosse già dentro. Quando Ian aprì la porta della stanza 3B, non riuscii a non sgranare gli occhi. Brian era legato con delle fascette di plastica ad una sedia di metallo, con solo i boxer indosso, il corpo bagnato e con il volto tumefatto. Aveva lividi e tagli in diverse parti del corpo, l'espressione era vacua, come se sapesse già cosa stesse per succedergli, ma non avesse più la forza per opporsi. Chissà da quante ore era fermo lì, in quello stato.

Avevo sottovalutato Jack, dovevo ammetterlo. Non avevo minimamente programmato tutto questo, ecco il perché del suo ghigno soddisfatto. Forse lui aveva imparato a comprendermi nello stesso modo in cui io avevo imparato a comprendere Jackson Kovasky. Decisi quindi di giocare anche io le mie carte e iniziare ad essere al suo pari. Jack mi aveva messo in un angolo, vero, ma io avevo sempre un piano di riserva. Ero un po' come Baby di Dirty Dance, nessuno mi mette in un angolo.

«Ciao Brian. Finalmente qualcuno te la fa pagare per tutta la merda che hai fatto.» Sorrisi ironica, mentre estrassi dalla fascia elastica della coscia il mio coltello militare da combattimento. Me lo rigirai tra le dita diverse volte, mentre osservavo con la coda dell'occhio le reazioni di Ian e Jack. Ian ero stupito, mentre Jack stava ancora cercando di capire a che gioco stessi giocando. Se volevo conquistare le sua fiducia per poi distruggerlo, dovevo dimostrare di esserne degna. Mi posizionai alle spalle di Brian e senza pensarci troppo, lasciai scorrere, facendo un po' di pressione, la lama de coltello sul suo braccio sinistro. Il taglio non era profondo, ma era piuttosto lungo e probabilmente gli sarebbe rimasta una cicatrice considerevole.
«Questo solo per iniziare fiorellino.» Feci un occhiolino ironico a Brian, mentre sentivo dietro di me due risate distinte prendere forma. Li avevo convinti. Il viso di Brian era una maschera di dolore e sofferenza e un poco, in fondo al mio cuore, mi dispiaceva per lui. Forse un po' tanto. Mi costrinsi a non cedere proprio ora, non avrebbe avuto senso. Continuai con la mia farsa, sedendomi in braccio a Brian, che era inerme e ferito. Lui mi stava guardando in un modo strano. Aveva gli occhi verdi spalancati, forse era spaventato, i capelli piuttosto lunghi e bagnati, gli ricadevano sul viso, appiccicandosi qua e là. Allacciai le mie braccia intorno al suo collo e mi avvicinai con il busto al suo. La mia bocca era canto al suo orecchio sinistro.
«Fidati.» Non avevo tempo e modo per dire di più. Ecco perché non la feci troppo lunga. Mi rialzai poco dopo e, ancora senza pensarci troppo, gli feci un taglio anche sulla coscia sinistra. Non avevo voluto minimamente sfiorare ne la coscia destra, né il braccio destro. Sapevo che se lo avessi fatto Brian non mi avrebbe mai perdonato, anche se ormai il perdono non aveva più un grande valore.

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