Epilogo

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Tre anni dopo

Io e Giselle ci eravamo trasferite definitivamente in pianta stabile a Malibù e stavamo veramente benissimo. Il posto era perfetto per viverci e il clima era sempre splendido. Sentivamo spesso Ian da New York, ci raccontava che cosa succedeva da quelle parti e noi lo ricordavamo sempre come un amico che alla fine dei conti ci aveva aiutato, permettendoci di fare la differenza. Era diventato lui il grande capo, dopo il blitz che avevamo organizzato contro Brian. Il colonnello McCartney aveva scelto lui come figura a cui affidare il ruolo che prima aveva Brian, lo aveva fatto quando aveva capito che io me ne sarei andata da New York il più velocemente possibile e lui non poteva farmi cambiare idea. Ian si era dimostrato all'altezza del ruolo che gli era stato assegnato, molto di più rispetto a Brian e, nel giro di qualche mese, New York era stata ampiamente ripulita da covi mafiosi e da criminali. Ian aveva avuto, solo in pochi mesi, le palle che Brian non aveva mai avuto in anni di servizio.

Mi ero totalmente innamorata della California e del sole cocente costante. Diversamente da New York, piovosa e grigia, qui tutto era raggiante e accogliente. Giselle aveva insistito per prendere in affitto una casa che fosse sul mare e ovviamente aveva vinto lei. Non riuscivo proprio a contraddirla. La nostra proprietà si affacciava quindi sul mare, vantava anche un piccolo pezzo di spiaggia ed era letteralmente da togliere il fiato. Non avevo mai pensato che svegliarsi osservando il mare potesse essere così piacevole e rilassante. Avere la possibilità di guardare le onde spumeggianti giungere fino alla spiaggia e scomparire poi lentamente era un'emozione indescrivibile. Giselle aveva già trovato lavoro come fotografa free-lance in un'azienda di casting poco distante da casa, che poteva raggiungere tranquillamente in auto. Io invece, ero riuscita, dopo parecchi sforzi, ad aprire un garage tutto mio. Sistemavo e riparavo automobili e, soprattutto, le mie adorate moto, insieme a degli altri meccanici che avevo accuratamente scelto con minuziosa precisione tra quelli che si erano presentati ai primi colloqui. Volevo al mio fianco delle persone disposte a crescere e che amassero almeno un po' quello che avevano scelto come lavoro. Avevo scelto di cambiare completamente tutto nella mia vita. Avevo ridimensionato completamente le mie prospettive e avevo capito che la vita è troppo breve per non fare quello che amiamo di più ed io amavo i motori, li amavo con tutta me stessa. Forse al pari di quanto amassi la mia patria. Questo almeno, era quello che pensavo fino a quando non avevo incontrato lui.

Era una mattina come tante altre, l'unica differenza era che io quel giorno ero in ferie. Ero andata quasi all'alba a fare una visita medica per un prelievo di sangue non corretto e mi avevano rivoltata come un calzino. Ero distrutta dopo quella mattinata, considerando anche il fatto che avevo avuto la pessima idea di mettermi i miei amati stivali tacco dodici, con dei jeans neri, una maglietta dei Rolling Stones e la mia stupenda giacca di pelle. Insomma, mi ero vestita come se dovessi andare a lavoro, peccato che dopo la visita non avessi neanche le forze per reggermi in piedi. Ottima l'idea degli stivali Jess, veramente ottima. Mi ero maledetta da sola per la mia scelta, per tutto il tragitto che mi avrebbe riportato a casa. Avrò fatto al massimo i cinquanta chilometri orari e, per una come me, fare i cinquanta chilometri orari in moto significava essere praticamente sul punto di morte.

Mi ero fermata quindi, davanti al solito caffè lungo la strada per andare a casa. Avevo assolutamente bisogno di mangiare qualcosa, altrimenti la mia bambina a due ruote l'avrei vista solo con il binocolo. Stavo mangiando delle buonissime ciambelle alla glassa e un caffè un po' slavato, ma accettabile, quando entrò nel locale un uomo vestito da motociclista. Aveva catalizzato l'attenzione di tutti perché si vedeva che quello non era proprio il suo ambiente. La giacca di pelle consumata, i jeans chiari slavati e la bandana rossa che fermava i capelli ribelli. Dei ricci neri come la pece che incorniciavano un viso bellissimo dai tratti marcati, con due occhi brillanti color del ghiaccio. La barba ispida lo rendeva il classico bad boy da strada che aveva indubbiante al suo seguito, una lunghissima scia di pretendenti. Solo che non era più un ragazzo, era un uomo adulto. Ed era bello da far male.

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