2. Le crocchette di patate.

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«Questo dove lo metto?», Marco, il mio ex ragazzo, tiene tra le mani uno scaffale e si guarda intorno.
Smetto di guardare il mio libro e punto i miei occhi blu sul suo corpo statuario.
Se ne sta immobile, nel mezzo della mia nuova stanza, pronto per spostare e sistemare i mobili a mio piacimento.
Crede di farsi perdonare.
Ed io glielo faccio credere.
I tradimenti non si dimenticano.
Mai.

«Nella parete a destra», rispondo distrattamente e lui si affretta a poggiarla al muro.
«Va bene a questa altezza?», scruta il mio viso con le sue iridi color nocciola e annuisco, quindi si attiva per attaccarla al muro mentre io torno a studiare il mio manuale di analisi matematica.
Sono al secondo anno di Ingegneria Chimica e non sono ancora riuscita a liberarmi di questa materia.
Ma mi sento positiva.
Questa volta riuscirò ad ottenere un diciotto.

Marco colpisce il muro con il martello e trattengo un urlo di frustrazione a causa del fastidio che questo assordante rumore mi provoca.
Mi viene voglia di strapparlo via dalle sue mani e colpire la sua testa in modo più o meno violento.
E per un attimo immagino di farlo.
Oddio.
Ho bisogno di una pausa.

Mi alzo di scatto e lancio una ciocca di capelli neri dietro le spalle prima di uscire dalla camera e dirigermi a grandi passi in direzione della cucina.
Apro il frigo e afferro una bottiglia di tè al limone per poi versarne un po' dentro un bicchiere.
Bevo lentamente e fisso un punto a caso nel vuoto per istanti che sembrano interminabili.

Ecco.
Ho l'ansia.
Non passerò l'esame ancora una volta.
Ho il cervello spento.
Fulminato.
Completamente inattivo.
Ma perché sono nata scema?
Dov'ero quando distribuivano l'intelligenza?

Un colpo di tosse mi fa sussultare e il bicchiere sfugge dalle mie mani per poi schiantarsi contro il pavimento.
Alzo lo sguardo e mordo l'interno della mia guancia nel vedere Mattia Caruso proprio davanti a me.
Il mio nuovo coinquilino.
Lui inarca un sopracciglio e osserva i cocci di vetro sparsi sulle mattonelle chiare, poi punta i suoi occhi neri su di me e trattiene a malapena un sorrisetto divertito.

«Che ci fai qui?», è la prima cosa che mi viene in mente da dire.
Il moro scuote la testa e muove un passo avanti, «È casa mia, forse?»
«Ehm, sì, certo. Hai già portato tutte le tue cose?»
«I miei amici mi stanno aiutando con il trasloco. Mi trasferisco oggi in modo definitivo».
Ah, bene.
Devo ricordarmi di mettere in gabbia Martina.

«Uhm, okay. Vado a prendere una scopa per... Ripulire tutto», indico il pavimento e lui annuisce distrattamente prima di avvicinarsi al frigo.
Osserva attentamente gli scaffali e morde le sue labbra rosse, «Qual è il mio?»
«L'ultimo in basso, credo. Prendi quello vuoto», dunque lo supero ed inspiro il suo profumo dolce mentre esco dalla stanza.
Ha un buon odore.

Recupero una scopa e torno in cucina dove Mattia sta riempiendo con un po' di spesa il suo scompartimento.
Non dice una parola ed io mi sento un po' troppo a disagio mentre pulisco il disastro che ho combinato.
Quindi decido di fare conversazione.
O almeno ci provo.

«Cosa studi?».
Il ragazzo si passa una mano tra i capelli castani ed infila una confezione di yogurt nel frigo, «Ingegneria Biomedica», risponde semplicemente.
E non mi chiede cosa studio io.
Simpatico.
«Ehm, wow, bello. A che anno sei?»
«Terzo»
«Quindi ti laurei quest'anno?»
«In teoria», detto questo, chiude il frigo e provoca un tonfo sordo.
Si sforza di farmi un sorriso di circostanza e poi va via.
Niente da fare.
È proprio antipatico come immaginavo.
Bah.

Butto i cocci dentro la spazzatura e mi concedo un respiro profondo prima di tornare in camera da Marco che ha finito di colpire a caso il muro con il suo stupido martello.
«Qui ho finito. Adesso possiamo parlare?», si stampa un'espressione da cane bastonato sul volto ed io scrollo le spalle e afferro le chiavi della mia auto.
«Ci sarebbero degli scatoloni da portare qui. Pensi di riuscire a farlo? Sono nel bagagliaio».
Marco arriccia il suo piccolo naso e passa una mano tra i suoi capelli scuri e ricci, «Va bene, Adè. Ma poi parliamo, okay?»
«Ma certo».
E sono più falsa di una moneta da tre euro.

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