34. Che confusione.

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La Madre di Mattia aveva ragione: suo figlio si rialza da solo.
E quando lo fa, è anche più arrabbiato di prima.
Sbatte le palpebre e si guarda un po' intorno, poi alza gli occhi al cielo e sbuffa, come se fosse scocciato dal suo stesso svenimento.
«Come stai?», è la prima cosa che dico.
Lui mi regala una lunga occhiata e parla dopo interminabili istanti: «Bene. Non lo vedi? Sprizzo vita da tutti i pori», mi risponde con sarcasmo e tanta, tanta rabbia.

Perché se la prende con gli altri?
Perché deve sempre essere così sgarbato con chi gli sta intorno?
Il male è dentro, Mattì. E noi, qui fuori, non ti abbiamo fatto niente.
Mi impongo di mantenere la calma e mi concedo dei respiri profondi, poi parlo: «Vuoi un po' di acqua?», cerco la bottiglietta dentro la mia borsa e lui mi blocca.
«No. Adesso andiamo a prendere le tue cose e te ne torni a Palermo»
«Può tornare con noi. Partiamo dopo pranzo», Andrea fa un passo avanti e Mattia si gira a guardarlo, come se si fosse appena accorto della sua presenza.

«Perfetto. Verrà con voi. Potete passare a prenderla da casa mia», detto questo, lascia una pacca sulla spalla di Luigi e si concede due respiri profondi, quindi torna a guardare me: «Andiamo»
«Io voglio re-», cerco di protestare, però lui mi interrompe.
«Te ne devi andare».

Io sono basita.
Lo fisso in silenzio per diversi istanti, poi schiocco la lingua sotto il palato e mi avvicino di più ad Andrea.
Okay.
Non mi vuoi qui.
Ho capito.
Non insisteró ancora.
Comincia a darmi fastidio la tua arroganza.
Anzi, sai cosa ti dico?
Me ne vado subito.

«Vai pure da solo. Mangio qualcosa con loro così partiremo il prima possibile».
Il moro boccheggia e inarca un sopracciglio: «Che significa? E le tue cose?»
«Non mi servono», taglio corto, «Me le farai avere tu, quando tornerai a Palermo. Salutami tua nonna e Dimitri. Ciao», gli faccio un cenno col capo in segno di saluto e comincio a camminare senza sapere esattamente dove andare.
Mi sento furiosa.
Sono venuta fin qui per stargli accanto e lui non fa altro che ripetermi che mi vuole fuori dai piedi.
Va bene, Mattia.
Hai vinto.
Fanculo.
Mi dispiace per te, ma la mia pazienza ha un limite.

«ADELE!», qualcuno mi chiama, ma stringo i pugni e continuo a vagare senza sosta.
«ADELE, FERMATI!», è Andrea.
«CHE C'È!?», sto strillando.
Il biondo schiude le labbra e mi fissa perplesso.
Così come Luigi e Mattia.
«La macchina è di là», indica il lato opposto a quello in cui mi trovo io e alzo gli occhi al cielo, quindi torno a camminare verso di lui.
Passo accanto a Mattia senza degnarlo di uno sguardo, ma sento i suoi occhi sul mio corpo.
So che mi sta guardando, ma non mi girerò per lanciare un'ultima occhiata al suo volgo triste.
Mi ha ferita.
E penso di meritare delle scuse.

🌻🌻🌻

Torno a Palermo con una brutta, bruttissima angoscia addosso.
Non appena varco la porta del mio appartamento, i miei coinquilini mi riempiono di domande.
Che è successo? In che senso è morto il padre di Mattia? Dove sei stata? Perché non ci hai detto niente? Hanno già celebrato il funerale?
Io rispondo con pazienza a tutte le domande e poi mi chiudo in camera mia per l'intera giornata.

Abbraccio il cuscino e sospiro rumorosamente, nella testa rivedo gli occhi scuri di Mattia e mi sembra di percepire ancora la sua rabbia.
Non meritavo di essere trattata in questo modo.
Proprio no.
Da un lato cerco di capirlo: è scosso dalla morte del padre, si sentirà sicuramente molto confuso e pieno di aggressività.
Dall'altro lato, però, proprio non riesco ad accettare i suoi modi bruschi.
Volevo solo stargli accanto.

Una lacrima solitaria scivola sulla mia guancia e mi affretto ad asciugarla, quindi mi rigiro sul letto più volte fino a quando il mio cellulare non vibra.
Un nuovo messaggio da parte di un numero che non conosco.
Le mie mani cominciano a tremare solo al pensiero di leggere l'ennesima minaccia. Il mio cuore comincia a battere più forte.
Insomma, è solo uno stupido messaggio.

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