41. Chissà se lo sai.

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Riesco a trovare due agenti disposti ad ascoltarmi solamente dopo mezz'ora di attesa. Credo siano stati i trenta minuti più lunghi della mia vita.
Ho le mani sudate e mi tremano le gambe quando mi siedo davanti al grosso poliziotto che se ne sta dall'altro lato della scrivania.
I suoi capelli sono grigi e mi scruta attentamente con i suoi occhi piccoli.
Il suo giovane collega, invece, è appoggiato contro una stampante ed incrocia le braccia al petto mentre aspetta che io dica qualcosa.

«Beh, cominciamo. Ha detto che vuole fare una denuncia, giusto?», l'uomo rigira una penna tra le mani e annuisco in fretta, tirando fuori la scatola dei post-it.
«Qualcuno mi sta seguendo, agente», comincio, «E sta anche facendo della pressione psicologica, lasciando bigliettini inquietanti e messaggi anonimi».

Lui annuisce e non degna di un'occhiata i foglietti che sistemo sulla scrivania: «Le ha fatto del male fisico?»
«No», dico, «Ma una sera, mentre ero in macchina, un uomo si è avvicinato e ha bussato contro il finestrino»
«Ha cercato di entrare in macchina?»
«No»
«Lo ha visto in faccia?», il suo tono di voce mi innervosisce. È come se si stesse prendendo gioco di me.
«No, ma aveva due grandi occhi grigi. Molto particolari. Senta, questa storia è iniziata quando è arrivato un nuovo ragazzo a vivere nella mia stessa casa. In quel periodo, ho anche rotto con il mio ex».

Entrambi gli agenti non dicono una parola, quindi torno a parlare: «Nessuno di questi due ragazzi mi sta perseguitando, ne sono sicura. Però credo che lo stalker abbia a che fare con il mio nuovo coinquilino».
L'uomo inarca un sopracciglio: «Pensa che il suo nuovo coinquilino la stia seguendo?»
«No», chiarisco, «Penso che sia qualcuno a lui vicino. Non ho ben chiaro il motivo, ad essere sincera»
«Perché dovrebbero perseguitarla?»
«Non lo so»
«Questo ragazzo... Sa che lei è qui?»
«No. Come le dicevo, penso che sia qualcuno di vicino a lui e ho preferito non dirgli nulla. Potrebbe dare informazioni allo stalker senza nemmeno rendersene conto, ingenuamente».

Silenzio.
Entrambi mi fissano come se fossi una totale squilibrata.
«Quindi lei viene qui a denunciare che cosa, per l'esattezza? Ha ricevuto dei bigliettini anonimi e qualche messaggio e ha delle ipotesi che, ovviamente, sono fondate sulla base del nulla. Non ha subito violenze, non ha un nome... Signorina, cerchi di capirmi, io-»
«Non mi sta prendendo sul serio», lo interrompo e lui schiude le labbra.
«Come, scusi?»
«Non mi sta prendendo sul serio», ripeto.
«Mi offende»
«Non voglio offenderla, ma vorrei che lei cercasse di capire me. Ho paura. Uno sconosciuto mi sta seguendo. Sa cosa significa, questo? Mi sento continuamente osservata, non riesco a dormire bene e temo possano farmi del male da un momento all'altro!».

L'omone si gratta il mento e sospira: «Non abbiamo tempo da perdere. Torni quando avrà delle prove valide. Questi bigliettini non sono nulla. Probabilmente qualcuno si sta solo prendendo gioco di lei»
«Sta scherzando?», sono scioccata.
Lancio un'occhiata al giovane agente e lui si stringe nelle spalle.
Il mio stomaco si contorce e balzo in piedi, raccogliendo tutti i post-it. Li lancio dentro la scatolina e concedo una lunga occhiata al poliziotto: «Grazie lo stesso. Farò a meno del vostro aiuto», detto questo, esco dall'ufficio, sbattendo la porta.

Percorro l'edificio a grandi passi e sono quasi davanti alla porta quando qualcuno afferra il mio braccio.
«Signorina, aspetti», il giovane agente di prima è proprio davanti a me e mi fissa con i suoi grandi occhi color nocciola.
Se prima non ha detto una parola, adesso sembra intenzionato a parlare: «Voglio aiutarla»
«Come?»
«Voglio aiutarla», ripete, «Il mio collega non è riuscito a capire il suo sconforto e mi dispiace. Vuole seguirmi? Possiamo parlare con calma e fare un quadro della situazione», apre la porta di una stanza e lo fisso attentamente prima di sospirare.
Proviamo.

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