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una chiamata persistente
in delle strane tenebre

una chiamata persistentein delle strane tenebre

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Mi sedetti nella caffetteria.

Fu una mossa coraggiosa, e forse anche stupida, perché ero praticamente l'unica a sedere da sola. Il resto degli studenti era diviso in gruppi che chiacchieravano tra loro, gettando uno sguardo a quelli da soli con un'occhiata sprezzante o compassionevole.

Non volevo vederne più nessuna.

Tenni la testa bassa e mangiai velocemente, desiderosa di allontanarmi da quel forte silenzio che mi circondava. Il college non era un posto dove volevi essere vista mangiare da sola, ma non ero riuscita a farmi degli amici. O degli alleati.

Le superiori erano state più facili, con adolescenti che erano stati più inclini a fare amici e a passare il tempo con gente che avevano conosciuto solo il giorno prima, ed era molto più semplice socializzare. In più, avevo il mio gruppo ritagliato apposta per me, anche se non erano le persone più gentili di tutte. Non potevo decidere che cosa fosse meglio - questo, oppure dover reggere il peggior tipo di persone gentili per prosperare.

Popolarità, potenza, dolore.

Digrignai i denti e chinai il capo. I bastoncini sottili nelle mie mani scavarono nei miei palmi mentre io strinsi i pugni attorno ad essi, e le estremità si spingevano nella mia pelle, minacciando di strapparla. Il cibo sapeva di carta per la mia lingua asciutta, e la parte secca della mia gola rifiutò di lasciarmi deglutire.

Ieri - solo ieri un reclutatore mi aveva vista guidare e - cosa? - aveva cercato di convincermi a gareggiare. Era davvero un reclutatore? Qualcosa mi diceva che l'intero calvario non era stato un'apparenza, mentre guardavo il centro della città quasi fluttuante all'orizzonte dello stadio.

In qualche modo, questo mondo sembrava seguirmi ovunque andassi.

Vernon. Vernon. Vernon. Il nome risuonò nelle mie orecchie, e io feci cadere i bastoncini, lasciando che le mani mi coprissero il viso. Volti bellissimi nascondevano brutti segreti.

Ci fu un suono stridente appena la sedia vicino a me venne tirata su, e il peso morto di un corvino a me familiare ci si fece cader sopra. Alzai lo sguardo con un'espressione impassibile sul mio volto, e il viso che avevo incontrato poco tempo prima quella settimana sogghignò di fianco a me.

"Oh, dai, questo posto ti fa così schifo?" Il ragazzo che mi aveva fatto l'occhiolino in classe sorrise, facendo correre le dita nei suoi capelli neri già disordinati. "Hai bisogno di compagnia?"

Tenni la bocca chiusa, ma un cipiglio si stava iniziando a creare sopra alle mie sopracciglia, a causa della frustrazione. Non mi piaceva particolarmente mangiare da sola, e sì, ero desiderosa di stare assieme a qualcuno - ma non di questo tipo. Qualcuno con cui avrei potuto iniziare di nuovo.

"Allora anche a te non piace parlare, huh?" Sorrise, apparentemente imperterrito, e tirò le estremità delle sue maniche in jeans. Fu allora che notai come il resto della gente si fosse un po' zittito. "Io sono Minhyuk."

Rush | Italian Translation (Aggiornamenti Lenti)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora