Capitolo 4

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"Svegliati tesoro, svegliati."

È una voce femminile, ma non è stridula come si potrebbe definire normalmente. La sua tonalità è molto bassa. Inquietante e odiosa.

Mi faccio coraggio e impongo alle mie palpebre di aprirsi. A meno di mezzo metro dal mio viso c'è lo sguardo iniettato di sangue di Pamela Snow. Dietro di lei, una parete di un bianco candido che mi brucia gli occhi ancora poco abituati alla luce intensa.

Sento il mio volto contrarsi in una smorfia di odio e cerco di reprimere l'impulso di sputarle in faccia.

"Ma buongiorno, tesoro." continua lei con uno strano ghigno sul volto. Sembra essere più perverso del solito. Credo che grazie a lei, odierò per sempre la parola tesoro.

Si allontana da me e un qualcosa di meccanico mi aiuta a mettermi seduta. La Snow inizia a girarmi intorno, ma evita di spostarsi troppo fuori dal mio campo visivo.

"Ho saputo, o meglio, ho visto che hai avuto la sfacciataggine di attaccare un Pacificatore."

"È stato il minimo." una voce roca e graffiante viene espulsa dalla mia bocca "Torturare la figlia di due vincitori e un vincitore. Veramente..."

"I tuoi genitori..." fa una pausa che definirei d'effetto. Serra i pugni sui fianchi e si irrigidisce "Non erano vincitori. Né tanto meno quel ragazzino viziato."

"Markus non è viziato, innanzitutto." il mio tono è ancora rauco "E hai ragione. I miei genitori non erano due vincitori." seguo il suo esempio fermandomi per un momento "Erano sopravvissuti."

"Non voglio parlare di loro." esordisce "E non voglio sentirti parlare. Devi solo ascoltare me." si ricompone lasciandosi alle spalle quell'attimo di nervosismo "Hai osato intralciare il lavoro altrui e per questo sei stata punita." nel suo sguardo leggo tutto l'odio che prova per me "Ma starà a te scoprire come." la Snow non perde il suo sorriso crudele "Ah e dovrai abituartici entro tre giorni." aggiunge uscendo dalla stanza sterile.

Quando la porta si chiude alle sue spalle, non sento nessun suono di chiusura. La porta è automatizzata, o non è munita di una serratura? Come mai non mi hanno rinchiusa qui? Non hanno il timore che io possa scappare?

Pensando ad un loro errore, o almeno, sperandoci, prendo l'iniziativa di alzarmi e correre. Non so dove, non so come uscire, ma devo farlo.

Butto a terra il lenzuolo bianco. E no. Non mi alzo. Non posso farlo. Un brivido tremendo mi percorre tutta la spina dorsale e si ferma a metà delle mie cosce: quel che resta delle mie gambe. Inizio a respirare sempre più velocemente. Sento il cuore affaticato, i polmoni non riescono a riempirsi totalmente d'aria che essa è già fuori dal mio organismo. Con le mani tremanti e ancora incrostate di sangue, mi accarezzo disperatamente la pelle scoperta delle cosce fino ad arrivare allo spesso bendaggio che nasconde l'orrendo moncone. Entro tre giorni? Devo abituarmici entro tre giorni?! Come posso abituarmi ad una cosa del genere?! Per il momento mi sembra impossibile! E poi perché proprio in tre giorni? Cosa succederà al termine di questo lasso temporale?

Acqua. Lacrime salate mi offuscano la vista e bagnano la pelle nuda e martoriata di mani e cosce.

"Oh mio Dio... Oh mio Dio..." continuo a ripetere tra gli ansimi. Non riesco a smettere.

È orrendo. È terribile. Mi hanno amputato entrambe le gambe. Ecco perché non si sono preoccupati di chiudermi a chiave o di legarmi. Non posso fare nulla senza di esse. E ora? Mi sto facendo prendere dallo sconforto.

Chi non lo farebbe?

Mio padre ne aveva persa una per gli ibridi, ma è stato ben diverso (anche se, pensandoci, la colpa è stata in ogni caso di Snow e degli Strateghi).

Al pensiero tiro su col naso e mi guardo intorno. Sento tremare le labbra mentre cerco di asciugarmi il più possibile le lacrime. Questa stanza è vuota. Non c'è l'ombra di un mobile. L'unico elemento che spicca sul bianco è una finestra dalla cornice argentea che lascia intravedere il mondo fuori di qui. Il cielo è di un azzurro molto vivace che stona con l'atmosfera pesante e triste che mi circonda e mi tiene prigioniera. Nella parte opposta della stanza, la porta da cui è uscita la Snow sembra invitarmi ad attraversarla. Se solo sapessi come arrivarci. Non c'è veramente nulla che potrei utilizzare. Neanche una sedia. Ci sarebbe il letto, ma, a quanto vedo, è fissato sia al muro che al pavimento. Devo provarci, so per certo che non andrei lontano, ma devo almeno tentare. Nella mente si formula un'idea. Una bozza. Potrei provare a fare leva sulle braccia per scendere e poi potrei strisciare sul pavimento. È folle. È folle non per i gesti, ma per il fatto che potrebbero catturarmi nuovamente non essendo veloce come lo ero prima.

Mi sporgo dal letto con il rischio di cadere, ma per fortuna riesco a mettere avanti le mani in modo tale da evitare ulteriore dolore. Inizio a tirarmi avanti. Le mani lesionate a contatto col freddo delle piastrelle bianche generano tanti brividi che mettono a dura prova il fragile equilibrio che mi ritrovo.

Boom

Con un tonfo sordo il resto del mio corpo cade a terra. Il dolore mi pervade interamente, ma, stranamente, non proviene dagli arti inferiori. Ciò potrebbe significare che l'operazione è recente e che l'anestesia è ancora in circolo. Tremendo.

Cercando di reprimere un grido di dolore, esasperazione e rabbia, mi concedo un secondo per ritrovare la motivazione che mi ha spinto a ruzzolare giù dal letto e che mi ha fatto arrivare a questo punto della mia vita. Un attimo dopo sto già avanzando a carponi. Senza l'ausilio delle gambe è uno sforzo sovrumano. Vorrei ringraziare sia Haymitch che Johanna per i numerosi giorni di allenamento prima dei Giochi. Se solo potessi...

E d'improvviso penso a Mark. Avranno fatto qualcosa anche a lui? Non posso pensarci, non vorrei pensarci, ma è inevitabile. Nella mia mente si susseguono immagini terribili che hanno come soggetto proprio lui. Mark senza gambe, Mark senza braccia, Mark senza mani, Mark senza lingua. Il dolore che sto provando nell'immaginarmi questi orrori è addirittura superiore al dolore fisico.

Usa questo per trovare la forza di andare avanti.

Devo riuscire a concentrare tutta questa energia negativa per produrre qualcosa di positivo. A parole è semplice, ma a fatti? A fatti non è per nulla facile.

Mancano meno di due metri alla porta, eppure sembra lontanissima. Un altro passo e scatta un allarme talmente forte da obbligarmi a portare le mani sulle orecchie per attutire il rumore assordante. L'avevano previsto. Sapevano che ci avrei provato.

La porta bianca si spalanca e da essa entrano due ragazzi che mi prendono di peso e mi riportano sul lettino. Devono essere stati ben addestrati dato che non hanno neanche un accenno di fatica dopo aver combattuto contro di me. Il ragazzo dai capelli ricci arancioni mi tiene ferma al materasso mentre l'altro è concentrato nel premere dei pulsanti al lato sinistro del letto. Dalla sua espressione si capisce che è meglio non sbagliare. Dopo un bip, compaiono delle cinghie di cuoio che mi circondano il collo, i polsi e la vita. Sono troppo stretti. Non riesco a respirare normalmente e le mani stanno già iniziando a cambiare colore.

Ormai ho il fiato corto quando la Snow fa il suo ingresso e si piazza ai piedi del lettino con aria solenne. Nel frattempo, il ragazzo che ha fatto comparire le cinghie mi posiziona una mascherina sul viso. I suoi occhi sono un misto di dispiacere e paura.

"Avevo detto che dovevi abituarti a questa nuova situazione entro tre giorni, ma non in questo modo." poi con il suo classico ghigno aggiunge "I giorni diventeranno due. Potete sedarla."

Provo a parlare, cerco di gridare, ma dalla mascherina inizia ad uscire un fumo denso e bianco. Inizio a respirare con più fatica mentre il sipario si chiude sul viso malefico e compiaciuto di Pamela Snow.

𝐇𝐮𝐧𝐠𝐞𝐫 𝐆𝐚𝐦𝐞𝐬-𝐋'𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐚𝐫𝐞𝐧𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora