Capitolo 11

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La testa mi duole. Spalanco gli occhi. Il mondo intorno gira vorticosamente. Il soffitto curvo in travi di legno mi sovrasta. Voglio alzarmi. Devo alzarmi. Ma ricordo con dolore e rabbia che sono legata al letto. Mi guardo. Il mio corpo è completamente nudo. Nessuna traccia degli indumenti grigi che indossavo. La stanza è totalmente silenziosa. Mi giro in cerca di Mark il quale è malamente abbandonato sulla sedia in cui era legato la sera precedente. I suoi occhi, fissi su un punto indeterminato del parquet, sono cerchiati di nero. La curva delle sue labbra esprime sgomento. Dei sequestratori non c'è traccia.

Segregata, imprigionata, mutilata... E ora anche stuprata.

Sui miei fianchi risaltano lividi viola e neri. Il corpo è dolorante, la mente è schifata e turbata.

"Mi dispiace." sussurra il ragazzo mentre le lacrime gli solcano le guance scure e cadono sul tessuto già macchiato dal sangue.

"Non è stata colpa tua." una voce roca esce dalla mia gola.

"Ah, no?" emette una risata nervosa "Se non... Se non avessi reagito..."

"Non puoi criticare il modo in cui hai cercato di risolvere dei problemi nel passato. Ormai tutto è finito. La tua è stata una reazione istintiva."

"Non ho potuto fare altro che guardare mentre quel porco si divertiva con te. Avevi gli occhi fissi su di me anche se non eri cosciente. Non puoi capire il dolore, lo schifo, la rabbia che ho provato." tira su col naso e ansima "Mio Dio... Che orrore..."

Mark inizia a muoversi convulsamente mentre la sedia inizia a dondolare pericolosamente. Sta cercando di liberarsi, è ovvio. Un tonfo. La mano metallica cade a terra permettendogli di far sgusciare fuori il braccio destro e, successivamente, anche il sinistro. Dopo essersi rimesso la protesi, Mark si slega i piedi e fruga nelle tasche dei pantaloni. Per fortuna, non hanno notato il pugnale a doppia lama. Si avvicina a me e inizia a tagliare le corde che mi legano.

"Ti prendo qualche vestito. Nella foga..." fa una pausa per deglutire "Nella foga li ha lacerati." Mark si guarda intorno con fare impacciato finché si dirige verso un armadio di legno scuro. Fruga al suo interno per poi tornare da me con una maglietta beige e un paio di pantaloni di una tonalità di poco più scura.

"Portava la tua taglia prima di..." gira il capo verso destra mentre chiude gli occhi ed inspira profondamente.

"Sono gli abiti di Alexa?" domando con un filo di voce "Mark, non posso."

"E invece sì. Sì che puoi." riapre inavvertitamente le palpebre "Quei due se ne sono andati. Ho sentito la porta chiudersi. Il tuo pugnale è giù nel corridoio?" chiede avvicinandosi alla porta della camera.

Annuisco in risposta prendendo tra le mani i vestiti che mi sono stati poggiati sulla testiera del letto.

"Torno subito." si chiude dietro la porta.

Avrei voglia di buttarmi dell'acido addosso. Vorrei darmi fuoco. Vorrei fare qualcosa per purificare questo corpo. Vorrei fare qualcosa per eliminare le ferite mentali e fisiche che mi sono state inflitte. E Mark? Oh, povero Mark. Le ombre nere sotto gli occhi mi fanno capire che non ha riposato né dormito stanotte. Sono stata stuprata sotto i suoi occhi senza che lui potesse fare qualcosa. Conoscendo il suo carattere, questo è stato uno dei molti fattori che l'hanno distrutto.

Mi vesto di fretta e furia per poi cercare un bagno a causa di un conato di vomito. China sul gabinetto, cerco di tenermi i capelli. Lacrime e succhi gastrici fuoriescono dal mio corpo. Cerco di credere che sia già un passo per purificarmi. Mi sciacquo la bocca, mi lavo il viso ed esco il più velocemente possibile. Uscendo, mi scontro con Mark. Quest'ultimo si scusa scuro in volto e mi invita a seguirlo per cercare sua madre. Col pugnale, Mark inizia ad armeggiare con l'unica porta chiusa a chiave di tutto il corridoio al primo piano. Dopodiché, la spalanca con un calcio e corre verso la donna minuta legata ed imbavagliata su una sedia.

𝐇𝐮𝐧𝐠𝐞𝐫 𝐆𝐚𝐦𝐞𝐬-𝐋'𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐚𝐫𝐞𝐧𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora