Capitolo 7

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Un brivido si fa strada per tutto il corpo. Il lenzuolo bianco avvolge le gambe metalliche e limita il poco movimento che posso permettermi. Qualcuno mi scuote dolcemente. È un movimento talmente leggero che mi sembra di essere in una culla. Mi lamento. Non voglio aprire gli occhi. Non voglio iniziare un nuovo giorno. Forse è la pigrizia a farmi parlare, oppure è semplicemente la stanchezza.

"Posy..." una voce maschile scandisce il mio nome. Non è Mark -per fortuna- Non è neanche Haymitch. Era da tanto che non sentivo quella voce. Non so precisamente da quanto. Nessuno si è ancora degnato di dirmi in che mese siamo, almeno.

"Posy svegliati." insiste aumentando il movimento ondulatorio.

Alzo lentamente le palpebre. È buio. Non vedo bene. Riesco a malapena a distinguere la sagoma del ragazzo (o dovrei dire dell'uomo) che sta cercando di svegliarmi.

"Posy, dobbiamo andare."

Con uno scatto felino, lo circondo con le braccia. È lui. È Mitch.

"Non sai... Non lo sai quanto mi sei mancato." lo stringo a me mentre lui mi issa facendomi sedere. A stento riesco a crederci. Mio fratello è davvero vivo.

"Non vedevo l'ora di vederti, ma dobbiamo andare. Johanna ha un piano." quasi sussurra.

"Un piano per?" domando incredula.

"Per la rivolta. Dai, andiamo ora."

Butto giù le gambe dal letto e, se non ci fosse stato Mitch, molto probabilmente sarei caduta seguendo il peso del metallo. Le porto ormai da qualche giorno, ma il fatto di essere chiusa nuovamente in una stanza (sebbene più confortevole della cella dalle sbarre arrugginite) non mi ha indotto a camminare molto.

Mitch mi prende sottobraccio e piano piano ci incamminiamo per giungere a quella che viene chiamata 'Sala Riunioni'.

Durante il breve e, allo stesso tempo, faticoso tragitto, non ci scambiamo neanche una parola. Neanche una. Qualche volta Mitch ricambia i miei sguardi con sorrisi stanchi che sembrano celare paura e qualcos'altro che però non riesco a intuire. Ma è così... strano. Oserei dire anche estraneo.

Mitch spalanca una massiccia porta di legno laccato e mi introduce in un'ampia sala ovale. È cupa e, nonostante le sue dimensioni, sembra essere claustrofobica. Su una parete di un grigio che si avvicina al nero c'è una cartina raffigurante Panem. Ogni Distretto marchiato con il proprio stemma. Sulla stampa, ci sono numerose puntine a cui sono fissati dei fili di diversi colori, tra cui giallo, rosso e verde. Un tavolo scuro della medesima forma dell'ambiente è collocato nel centro della sala. Attorno ad esso ci sono all'incirca una dozzina di sedie. Due di esse sono occupate.

"È ormai risaputo che questo governo ha paura dell'ignoto. Organizza tutto. TUTTO." scandisce l'ultima parola "Gli Strateghi non accettano il fatto di essere superati in ingegno e tanto meno la Snow. Quello a cui ho pensato sarebbe di spingerli verso quell'ignoto di cui tanto hanno timore." gesticola sulla cartina.

"Johanna." richiama la sua attenzione Mitch.

La donna termina il suo discorso e si volta verso la voce che ha nominato il suo nome. Il viso è cereo sotto le luci deboli che illuminano la stanza. Se a Mark hanno amputato la mano, a lei cosa avranno fatto?

Nulla. Lei è fisicamente intatta. Forse perché sapevano che non avrebbe funzionato con lei, o forse per altre ragioni che però non riesco ad immaginare, così su due piedi.

Johanna sembra essere ipnotizzata. I capelli scompigliati le donano un'aria quasi da schizofrenica. Le iridi ingrigite contornano delle pupille che guardano fisso le mie. Le luccicano gli occhi. Lo si nota anche da questa distanza e dalla luce scarsa. Ed ecco la prima lacrima. Una seconda. Una terza.

𝐇𝐮𝐧𝐠𝐞𝐫 𝐆𝐚𝐦𝐞𝐬-𝐋'𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐚𝐫𝐞𝐧𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora