Capitolo 13

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Abbiamo evitato di mangiare lo stufato di manzo. Non perché la pietanza non fosse invitante, anzi, ma a causa della possibile presenza di qualche sostanza dannosa alla nostra salute, abbiamo deciso di lasciare la ciotola di legno lì dov'era arrivata grazie alla forza di quel Pacificatore.

Questa mattina, un altro soldato ci è venuto a prelevare. Non ci ha fornito nessuna spiegazione e tanto meno si è degnato di rispondere alle nostre domande. Ci ha condotti in una sorta di Sala d'Addestramento dove tutt'ora siamo rinchiusi. Ancora non riusciamo a capire (e nemmeno a credere) il perché Johanna abbia fatto una cosa del genere (se effettivamente l'abbia fatta).

"Allenatevi." ci ordina una voce robotica d'un tratto e l'inquietudine nel suo tono ci suggerisce di non opporci.

Nella sala ci sono armi di ogni tipo, ma, ovviamente, sia io sia il mio compagno ci dirigiamo alla postazione di tiro con l'arco. Giusto qualche tiro per poi spostarci alla postazione delle cosiddette armi bianche. Coltelli, pugnali, spade. Lame di ogni tipo, ma l'unica caratteristica che le accomuna tutte è sicuramente il fatto di essere minacciose.

"Non combatterò contro di te." dice Mark facendo un lieve affondo con una spada. Lo paro e il metallo stride "Perché tanto è questo quello che succederà. Ci metteranno uno contro l'altra."

"Neanch'io voglio." affermo liberando la mia arma "Ma se non lo facessimo, ucciderebbero entrambi. Tanto vale che uno viva." rigiro impazientemente l'elsa nella mano.

"Mhm." si tiene a distanza, come se avesse paura che lo colpissi davvero "Non so quanto possa convenire. Non credo che al vincitore la vita si farebbe magicamente più semplice e tranquilla."

"Spero solo che quello che ci ha detto quell'uomo sia frutto dell'alcol. Johanna non è il tipo che fa queste cose. Perché si sarebbe dovuta salvare la pelle lasciandoci nei guai? E poi, con tutto il rancore che prova per la Snow..."

"Non potrebbe avere un piano?" ipotizza Mark rimettendosi in posizione. I suoi piedi eseguono movimenti rapidi e ricorrenti, come passi di danza.

"Potrebbe." effettuo un affondo mancando il bersaglio. Quasi cado col volto a terra "Dovrebbe. Deve averlo." mi affretto a correggere la mia affermazione raccogliendo la spada che mi è sfuggita di mano. Errore pessimo. Se avessi avuto un vero avversario davanti ai me, sarebbe stata l'occasione perfetta per decapitarmi. Non deve più accadere. La spada, cosiccome l'arco o qualsiasi altra arma, deve diventare un'estensione del mio braccio. Non posso permettermi simili errori in situazioni serie. Affondi, stoccate, schivate. Andiamo avanti così per minuti, forse ore. Johanna e Haymitch mi avevano davvero addestrato bene. Per quanto riguarda Markus, invece, non so se il suo sia un talento innato o abbia imparato da qualche parte. Fatto sta che i suoi movimenti sono aggraziati e leggeri anche in situazioni difficoltose. Cade? Il suo corpo sembra adagiarsi, la sua schiena sembra combaciare con la durezza del pavimento di cemento per poi tirarsi nuovamente sui suoi piedi a seguito di una capriola in avanti o all'indietro che sia.

Un allarme, ma non un allarme di quelli che indicano pericolo. Un allarme che serve a richiamare unicamente l'attenzione. Solo noi siamo presenti in quest'enorme sala. Le nostre parole, anche se pronunciate sottovoce, vengono amplificate dall'eco. I nostri passi sembrano essere quelli di un esercito di giganti per quanto felpati possano essere. I passi dei due Pacificatori sono quelli dell'armata nemica.  Si dirigono verso di noi con fare spedito e in men che non si dica ci circondano legandoci le mani dietro la schiena. Le armi ci sfuggono di mano e, cadendo a terra, causano un fragore assordante e uno stridio insopportabile.

"Non opponete resistenza e le manette non stringeranno." sussurra il soldato dietro di me. La barba bruna mi solletica il collo mentre oltre alla pressione degli anelli di metallo si aggiunge la sua stretta attorno ad essi.

𝐇𝐮𝐧𝐠𝐞𝐫 𝐆𝐚𝐦𝐞𝐬-𝐋'𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐚𝐫𝐞𝐧𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora