Capitolo 8

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Nella stanza, in piedi, insieme alla signora Sullivan, c'è il professore.

La mia faccia deve essere palesemente confusa, perché la signora Sullivan dice:

- Ciao, Lenah. Siediti.

Faccio come dice e sprofondo nella poltrona in pelle davanti alla scrivania.

Il professor Smith si siede sulla poltrona accanto alla mia.

- Perché sono qui? - chiedo.

- Perché c'è una possibilità che tu possa andartene di qui - mi comunica la signora Sullivan con un grande sorriso. 

Sgrano gli occhi. Cosa? Ho sentito bene?

- E cosa c'entra il professore con questo?

- Questo è il punto -dice lui. 

Lo guardo alzando un sopracciglio, confusa.

- Riguardo a questo...ho chiesto io di farti uscire. Ti prendo sotto la mia responsabilità.
Eh? Col cavolo.

- Verresti a vivere da me ed io diventerei il tuo tutore.
Scordatelo.

Rido, sprezzante. - No, preferisco rimanere qui, piuttosto. Grazie comunque per il pensiero - ribatto sarcastica. 

- In effetti, ci sono molte cose da vedere, come le ho già detto, signor Smith - si intromette la signora Sullivan.

- Non abbiamo accertamenti sullo stato di Lenah. Non sappiamo se ha smesso di...fare quello che aveva abitudine di fare - dice.

- Qualcosa che dovrei sapere? -interviene il tutt'altro che discreto professor Smith.

- Sì. Ho smesso già da tempo - mento, mettendolo a tacere. 

- Vede, signor Smith, Lenah ha un passato alle spalle molto doloroso e deve imparare a convivere con questo senza fare del male a se stessa. Comunque, se dici di aver risolto i tuoi problemi, Lenah, potrai lasciare questo centro, dal momento che non è un orfanotrofio. Ovviamente in seguito a degli accertamenti - dice la direttrice.

Bene, ora sembra che io voglia a tutti i costi andare con il professore.

- Lo so benissimo, signora Sullivan, ma è legale tutto questo? Insomma...

Lei sospira, interrompendomi, poi guardando il professore dice:

- Ma lei è sicuro di questa sua scelta? Si prenderebbe questa responsabilità e diventare suo tutore?

- Certamente. Vorrei dare a questa ragazza una casa ed una famiglia, se me lo permetterà, signora direttrice - ribatte. 

La Sullivan sospira nuovamente, poi mi risponde:

- Tra pochi anni sarai maggiorenne e se hai risolto realmente tutti i tuoi problemi come dici tu stessa, non potrai più rimanere qui, come ben sai. Conoscendo il signor Smith dubito che ti troverai male, di conseguenza vorrei darti la possibilità di tornare ad essere di nuovo felice, mandandoti a vivere da lui. Comunque, ci penserò. Come ho detto, dovremo fare degli accertamenti ed in caso positivo, lei dovrà firmare dei documenti, professore.

Poi ci congeda.

Nel corso della giornata evito sia il professore che Ash.

Ma non posso evitare la signora Sullivan che mi chiama nel suo ufficio nuovamente.

- Signora Sullivan - dico, entrando.

- Ciao, Lenah, - mi saluta. - Ti ho chiamata qui per vedere com'è la tua situazione.

E so che allude ai tagli.

- Le ho già detto che ormai ho smesso.

- E non lo metto in dubbio, ma vorrei controllare comunque.
Certo, come no.

- Levati la maglia ed i pantaloni.
Eh? Secondo lei dovrei rimanere solo in mutande e reggiseno? 

Insomma mi ha  già controllata in precedenza, ma non in questo modo. 

Dopo un momento di esitazione, controvoglia mi levo sia i pantaloni che la maglietta. La Sullivan deglutisce.

Lo so, a molti fa questo effetto. Tutti questi tagli fanno senso alla gente.

Si avvicina e mi controlla ogni taglio sulle braccia. Inizio a pensare che sia malata.

Li sfiora uno a uno. Ormai sono tutti cicatrizzati, anche quelli un po' più recenti.

Guarda le gambe, lisce e prive di tagli. Ho preferito concentrarmi più sulle braccia, in modo da ricordarmi per sempre ciò che ho fatto, avendole costantemente sotto gli occhi. 

E poi guarda la pancia. Grazie ai punti, la ferita si è riformata. Tra poco sarà una nuova cicatrice.

La signora Sullivan si acciglia.

- E questo? 

- Me lo sono procurato accidentalmente. Ero in cucina, non ho fatto caso al coltello e  mi sono tagliata. È stato un incidente - la scusa non è molto plausibile. 

- Sulla pancia? Come hai fatto?

- Avevo fame e sono andata in cucina di notte.  Non ho acceso la luce e quando mi sono appoggiata al bancone della cucina non pensavo ci fosse un coltello. Questo è caduto e mi sono ferita - spiego. 

Lei sospira. - D'accordo. L'incidente dell'altra notte - dice. - Rivestiti. Hai ragione, i tagli non sono recenti. Sono contenta che tu abbia smesso.  Le nostre cure ti hanno fatto bene.

Annuisco. Quali cure? Ah già, quelle medicine che ho preso una volta o due e poi non più.

- Puoi andare ora, Lenah. - mi sorride.

La saluto e me ne vado.

Ora sono nei guai, se il professore mi vuole ancora sotto la sua ala protettiva.

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