Capitolo 36

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Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.

Un suono costante accompagna il mio dormiveglia, poi un ronzio. Un rumore simile a tanti martelli che colpiscono il metallo.

Dopo il buio.

- Non posso credere che tu lo abbia fatto!
Adam.

- È tutta colpa tua! - grida.

- Adam, sei qui anche tu.

Una voce più pacata. 

- Ma non sono d'accordo!

- Sapevi che lo avrei fatto se le cose fossero peggiorate.

- Che cazzo significa, papà?

- Non usare questo tono con me. È per il suo bene.

- Hai idea di come reagirà quando lo verrà a sapere? Ne avresti dovuto parlare con lei, trovare un altro modo. Non avresti dovuto farle...

Non riesco a sentire altro, perché vengo di nuovo risucchiata dall'oscurità.


Una luce accecante mi fa strizzare gli occhi una volta aperti.

Adam è girato di spalle.

Quando si volta, sul suo viso leggo una serie di emozioni: rabbia, preoccupazione, sollievo, spossatezza.

- Ehi...- mormora passandosi una mano tra i capelli arruffati. Deglutisce rumorosamente.

- Finalmente ti sei svegliata.
Finalmente?

- Quanto tempo ho dormito?

- Sei rimasta priva di sensi per tredici, lunghissime, ore. Prendevi e perdevi conoscenza.

- Possiamo tornare a casa? 

- Non so cosa pensano i medici.

- Dove siamo?

- In un ospedale.

- Da quanto tempo sono qui?

- Dodici ore - risponde dopo un attimo di esitazione.

Sono sul punto di chiedergli dell'ora rimanente, quando entra nella stanza un uomo alto, slanciato e sulla quarantina.

Indossa un camice bianco e sul suo cartellino leggo il nome "Reese ".

- Ciao, Lenah. Come ti senti? - mi sorride amichevolmente.

- Abbastanza bene, credo. Forse ho un leggero mal di testa, ma per il resto, sono okay.

Annuisce, segnando qualcosa su un taccuino che tira fuori dalla tasca del camice e dopo avermi visitata brevemente, se ne va.

- Suppongo che tu possa lasciare questo ospedale, stasera - comunica sulla porta. 


Proprio come ha dichiarato il dottor Reese, al tramonto sono già a casa. 

Malcom non si è fatto vivo e durante la cena la tensione tra Adam e il padre si taglia a fette.

Guardo il bicchiere d'acqua ancora pieno davanti a me.

E di colpo ricordo tutto.

- Mi avete drogata? - sbotto.

Adam spalanca gli occhi, lascia il coltello e si volta verso il padre.

- No - dice Malcom.

- E allora cosa?

Lui sospira.

- Ho messo un sonnifero nel tuo bicchiere.

Non posso credere al tono privo di rimorso che ha utilizzato.

- Perché? - grido.

- Per aiutarti.

- Aiutarmi, aiutarmi! Sono stufa di tutte queste prese in giro! Quindi, perché mi hai drogata?

- Non ti ho...

- Perché!

- Per aiutarti a dormire.

- Dormo da sola.

Questo discorso è di pura follia.

- Sapevo che avresti reagito male, ma sapevo anche che non avresti accettato.

Malcom si passa stanco una mano sugli occhi, dopo aver posato gli occhiali da vista sul tavolo.

- Accettato cosa? - ribatto.

- Di lasciarti fare una risonanza.






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