Capitolo 12

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Ho sette anni.
Sono nella mia camera seduta sul letto e mamma mi spazzola i capelli.
- Perché tu e papà litigate sempre? - chiedo.
Mamma mi fa un sorriso triste.
- Sai, Lenah. A volte si discute, anche in famiglia. Non sempre va tutto bene.
Annuisco piano.
- Ma saremo sempre una famiglia. Perché ci amiamo - aggiunge con un sorriso.
Sorrido anche io.
Qualcuno suona il campanello della porta di casa.
- Dev'essere Margaret - dice mia madre.
Con un balzo scendo dal letto e correndo vado ad aprire.
Margaret però non ha sette anni.
E neanche io.
Abbiamo sedici anni.
- Mi stai ignorando, Lenah.
- Ma che dici? Sei sempre nei miei pensieri. 
- Smettila, Lenah. Smettila di fare così. Io sono con te, Lenah. Io ci sono.
Sta dicendo cose senza senso.
La mia mente non riesce a capire le sue parole. E la mia mente interpreta a modo suo, come ha sempre fatto. Quando Margaret apre la bocca per parlare, le parole che le escono sono:
- Sono morta. E mi hai ucciso tu.

Spalanco gli occhi e mi alzo a sedere sul letto di scatto. Urlo, urlo talmente forte da essere abbastanza sicura di essermi fatta sentire fino al polo sud.

Urlo finché non mi brucia la gola.

Urlo, urlo, urlo.

Voglio tagliarmi. Voglio il sollievo che provo quando lo faccio.

Nella mia stanza buia entra Malcom di corsa, preoccupato ed affannato.

- Lenah! - mi afferra per le spalle.

Poi, mi abbraccia. Credo di aver iniziato a piangere perché la sua camicia è bagnata sotto la mia faccia.

- Lenah, che è successo?

Non riesco a parlare.

Quando mi scosto e mi libero dal suo abbraccio, vedo con la coda dell'occhio una sagoma appoggiata allo stipite della porta. Adam.

Mi asciugo in fretta le lacrime con il dorso della mano.

- Che diavolo succede? - chiede lui, scocciato.
Il principe Adam è stato svegliato, fate attenzione!

- Lenah, cosa è successo? - mi sussurra il professore.

Scuoto il capo. - Niente. Ho solo avuto un incubo.

Per un certo verso è la verità.

- La piccola Lenah ha avuto un incubo...vuoi venire a dormire nel mio letto? O preferisci andare con il tuo professore? - mi sfotte Adam.

Non sono sicura che Malcom lo abbia sentito, in questo momento così preso da me.

Il dolore e l'umiliazione lasciano il posto alla rabbia e ad una furia ceca.

- Sto bene - rassicuro Malcom, che dubbioso, ritorna in camera sua. - Va bene, ma chiamami se hai bisogno - dice prima di andarsene.

Adam rimane appoggiato con una spalla allo stipite della porta. Lo fisso infuriata e mi alzo dal letto e vado diretta verso di lui.

Lui è più alto di me di parecchi centimetri.

Perciò mi ritrovo sotto di lui, a guardarlo dal basso. Lui abbassa lo sguardo su di me e mi guarda con aria di sfida, mentre un sorrisetto gli attraversa la faccia.

- Si? - fa lui.

- Cosa diavolo hai che non va? - lo aggredisco.

- Credo che questa domanda te la dovresti porre da sola. Non sono io il pazzo che nel cuore della notte sveglia tutti urlando. Perché non te ne ritorni al centro di recupero? Hai dei problemi, e anche gravi - dice. 

- Sei così...sei così stronzo - rispondo punta sul vivo.

Lui ride. - Sì, lo hai già detto. Be', grazie. 

- Vattene. Ti voglio fuori dalla mia stanza - sibilo. 

Lui ride ancora, ma stavolta non c'è ironia nella sua risata. 

- La tua camera? Non è la tua camera, Lenah - dice con disprezzo.

- Tu non vivi qui. Un giorno o l'altro sarai buttata fuori a calci e dovrai tornare nella tua stanzetta del centro di recupero.
Buttata fuori a calci? Cosa diavolo sono, un animale?

Mi fa un sorrisetto da stronzo patentato e se ne va.

- Sogni d'oro, tesoro, - si allontana ridendo.

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