Capitolo 40

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No.
No no no no no no.

Adam è completamente un pezzo di pietra ora. Se fosse colpito in maniera abbastanza forte, si sgretolerebbe.

- Ragazzo, ti conviene staccarti da lei, dobbiamo portarla via.

- No - ringhia Adam.

Si è alzato tenendomi stretta e non mi lascia.

- Voi non la porterete via.

- Scegli. O con gentilezza o con la forza, in un modo o nell'altro dobbiamo farlo - Maxon si pulisce la tuta da qualche pelo invisibile con aria annoiata.

- Perché? Con quale diritto? Chi cazzo siete?

- Non sai leggere, ragazzino? Siamo dell'ospedale psichiatrico ed abbiamo l'incarico di portare via la tua ragazza per portare a termine alcuni accertamenti sulla sua condizione. Però non sono tenuto a dare spiegazioni a te, quindi togliti di mezzo.

Mi fa infuriare. Per tutta risposta, Adam mi mette dietro di sé.

- Risposta sbagliata, ragazzo, se ci tieni a lei.

- Mark, aiutami - ordina poi rivolto a quello più basso di lui.

- Adam, spostati - lo supplico.

- Impedisciglielo! - urla al padre.

- Hanno un mandato ed il verbale del dottor Reese.

- Stronzate! - grida Adam in preda alla furia mista alla disperazione.

Si prepara a combattere i due uomini, lo leggo nei suoi occhi.

Non ce la fa. Non ce la potrebbe mai fare.

E non posso permettere che si faccia del male a causa mia.

- Adam - sussurro.

Lui si volta. Ha le lacrime agli occhi. Le lacrime di chi, anche se frustrato, non vuole arrendersi.

Mi dà un bacio sulla fronte, poi sulle labbra, ma mentre è vulnerabile, mentre è di spalle, uno dei due uomini lo colpisce alle spalle.

Non sento più niente.

Tutto intorno a me è attutito, i suoni ovattati.

Grido. Grido il suo nome più e più volte.

Questo non è giusto.

Non era giusto.

Non è umano.

Questo comportamento non è umano.

Anche Malcom grida qualcosa, ma non gli presto attenzione. Adam è accasciato sul pavimento. Maxon mi afferra, mi solleva, urlo, mi dimeno, scalcio, graffio, tiro pugni.
Adam.

- Non sono pazza! - urlo.

- Lo giuro! Ho smesso di fare quegli incubi! Vi prego, lasciatemi!

Cerco di divincolarmi.

Urlo che non sono pazza all'infinito, urlo il nome di Adam fino a lacerarmi la gola, urlo che non dovevano fargli del male.

Urlo, urlo, urlo.

- Sapevo che questa era ribelle.

Sento una fitta, qualcosa di lungo e appuntito penetrarmi la carne del bicipite.

Mi hanno sedata.

Come un animale rabbioso.

Sento le palpebre pesanti, combatto, cerco di restare sveglia, di resistere, ma non ce la faccio.

L'ultima cosa che vedo prima di abbandonarmi tra le braccia dell'oscurità, è lo sguardo di Malcom.

Pieno di rimorso.

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