Capitolo 10

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Il professor Smith possiede un modesto appartamento in periferia, un attico ed un superattico. Charlotte si trova a parecchi chilometri da qui, ma non è  molto distante dal centro di riabilitazione. Volendo, potrei andare a trovare Ash.

- Eccoci arrivati - annuncia, inserendo la chiave nella toppa e lasciandomi entrare per prima.

- Carina...- commento piano guardandomi intorno.

- Al piano di sopra ci sono i bagni e le camere da letto, mentre al piano di sotto ci sono la cucina, il salone, lo studio dove lavoro con una biblioteca annessa - dice, conducendomi in salone. Esso è arredato con mobili eleganti ed ospita tre divani in pelle nera disposti a ferro di cavallo, una piccola libreria ben fornita ed una tavolo di cristallo su cui sono poggiate riviste, giornali e libri. Allungo il collo per leggere il titolo di quello in cima alla pila: "La psicologia dell'uomo e della donna".

E cosa ci si poteva aspettare da un professore di lettere con una laurea in psicologia.

- Vieni, ti mostro la tua camera.

L'uomo mi distoglie dai miei pensieri e mi fa strada in corridoio dove attraverso un arco nel muro si può vedere la piccola cucina alla nostra destra. Superiamo una porta chiusa sulla sinistra che suppongo sia lo studio del professore e lo seguo al piano di sopra, imboccando la rampa di scale che si trova alla fine del breve corridoio. L'ampio spazio del superattico è stato suddiviso in quattro stanze, ne superiamo due fino a raggiungere una porta bianca in fondo al disimpegno. 

- Questa sarà la tua stanza, mentre qui accanto c'è il bagno - dice Smith aprendo la porta.

La camera da letto si rivela essere abbastanza grande e luminosa. È arredata in modo semplice, ma di buon gusto, come il resto della casa.

-Ti piace?

Annuisco posando a terra il borsone contenente le poche cose chepossiedo.

- La stanza è magnifica, per non parlare dell'arredamento...

- Merito di mia moglie - dice con una punta di nostalgia.

Mi volto a guardarlo, con aria interrogativa.

- È morta tempo fa...ormai è passato tanto tempo.

-Mi dispiace- esprimo la mia sincerità. So cosa significa perdereuna persona amata. Io ne ho perse ben tre. 

Mi fa un sorriso stanco, poi, prima che se ne vada, finalmente loringrazio per la prima volta.


 - Ah, Lenah, ti prego, dammi del "tu", ormai vivi qui. 

Mi fa un sorriso stanco e se ne va.

Rimango nella mia camera e mi scappa un sorriso. Poi mi metto a disfare il borsone, sistemando i vestiti nell'armadio a muro. 

Quando ho finito, è quasi ora di cena.

Scendo le scale e vado in salone, dove mi siedo su un grande e comodo divano in pelle nera.

- Ah, Lenah? - fa il professore che nel frattempo è venuto in salone.

- Sì?

- Dovresti sapere una cosa... - viene interrotto dallo squillo del telefono e se ne va nel suo studio a rispondere. Sento la porta d'ingresso sbattere.

Alzo la testa di scatto ed entra nel salone un ragazzo.

Confusa, aggrotto le sopracciglia.

Lo sconosciuto si blocca e mi squadra, la confusione gli si legge in faccia.

Ed io ne approfitto per fare altrettanto.

Fisico asciutto, alto, occhi di un nocciola intenso e capelli scurissimi, leggermente arricciati sopra le orecchie.
Niente male.

Ma poi apre la bocca e la magia finisce.

- E tu chi diavolo saresti? - sbotta. 

Ma insomma, che modi!

- Ma chi sei tu! - rispondo, nonostante abbia la netta sensazione di essere nel torto.

Per fortuna, arriva il professore a toglierci dall'imbarazzo. Non proprio imbarazzo...

- Oh, vedo che quello che volevo dirti ormai l'hai visto - dice rivolto a me con un sorriso di circostanza.

Confusa, alzo un sopracciglio.

Vedo che anche il ragazzo è leggermente confuso. Anzi, è stranito.

- Lenah, lui è Adam, mio figlio. È di qualche anno più grande di te. Adam, lei è Lenah Ariston. Ti spiegherò tutto a cena.
Cosa? Suo figlio? Ed io dovrei vivere con questo?

Come ha premesso, il professore racconta tutto ad Adam durante la cena. Si siede a capotavola, mentre io devo stare di fronte al figlio tutt'altro che accogliente nei miei confronti.

Dopo cena, quando il professore si allontana, Adam mi rivolge la parola.

- E così vieni da un centro di recupero - inizia, e sembra che mi stia deridendo.

- Già - mormoro soltanto. Qualche problema?

- E mio padre è diventato il tuo tutore.

- Esatto,  vuoi che ti faccia un disegnino? - sbotto.

- Come siamo permalose.
Come siamo stronzi. 

Sorrido sprezzante.

Il professore fa il suo ingresso in cucina e ci dice:

- Be', ora sarete...fratellastri. Vedetela così.

- Non credo proprio - rispondiamo entrambi senza smettere di guardarci negli occhi con aria di sfida.

- Professore, suo figlio è davvero un ragazzo d'oro - dico sarcastica.

Lui sorride compiaciuto. Okay, non ha riconosciuto il sarcasmo nella mia voce.

- Lenah, viviamo insieme, non darmi del lei e non chiamarmi professore. Chiamami pure per nome. O non ti piace il nome Malcom? - sorride.

Sorrido di rimando, ma in modo tirato, dal momento che ora vorrei insultare il ragazzo che si trova seduto davanti a me, invece di parlare con il professore.

- Io vado nel mio studio. Se avete bisogno, mi trovate lì - dice Malcom, poi se ne va, lasciandoci da soli. 

- Mio padre ti ha portata a casa anche se hai un piercing al sopracciglio?
Ma che razza di ragionamento è?

Come a sfidarlo, alzo il sopracciglio destro, quello con il piercing.

- Primo, che razza di ragionamenti fai? E terzo, sono qui, no? O sei cieco? - ribatto, dando voce ai miei pensieri. 

 - Conoscendo mio padre, il mio è un ragionamento più che logico. E comunque, ho forse urtato la tua sensibilità? Ops - chiede con falsa preoccupazione. 

Ma quanto può essere stronzo?

- No, tranquillo. Non mi urto per così poco: la mia sensibilità è al sicuro con te - ribatto acidamente, rivolgendogli un sorriso velenoso che ricambia senza problemi, guardandomi mentre  mi alzo dalla sedia e me ne vado nella camera che ora è diventata la mia.

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