Capitolo 39

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Sono una stupida sono una stupida sono una stupida sono una stupida.

E potrei continuare fino all'infinito.

- Scusa, Adam. Sono una stupida ho rovinato tutto.

Adam mi rivolge un sorriso dolce.

Così dolce che il miele gli impallidirebbe di fronte. Così dolce che mi chiedo se merito davvero Adam.

Ed è quando risponde con un: "Sta tranquilla, Lenah. Ti capisco. Non voglio portarti a letto assolutamente. A migliorarmi la giornata basta un tuo sorriso, stringerti tra le braccia. Perciò, se non ti senti pronta, vorrà dire che aspetteremo." che penso: No, non lo merito davvero. Lui è troppo per me e io sono troppo poco per lui.

Una come me non merita uno come lui.

Una che disprezza la sua vita così tanto da tagliarsi.

Ma poi vedo lo sguardo di Adam.

Vedo la luce nei suoi occhi, e capisco che mi ama davvero; che non mente quando mi rassicura. Che vuole davvero proteggermi.

Siamo sdraiati sul letto ed Adam mi accarezza le braccia.

- Sai cosa? - dico.

- Cosa? - fa lui di rimando con un sorriso.

- Non sono mai stata così felice e in pace in vita mia.

Ed è la verità. 

Adam mi sorride, mi bacia.

Poco dopo, decidiamo di alzarci per andare in salone.

Malcom è sempre nel suo studio, rintanato come un topo. Chissà cosa avrà da fare di così importante.

- Vieni qui - Adam mi attira a sé e cadiamo sul divano.

Mi bacia le labbra e io gli stringo i capelli, gli accarezzo la nuca.

Non mi accorgo della presenza nella stanza finché non si schiarisce la gola.

Adam si blocca, i suoi muscoli si tendono e si irrigidisce completamente.

- Adam, - Malcom richiama il figlio con un tono talmente severo da farmi accapponare la pelle.

- Papà...- ribatte senza smettere di guardarmi e inclinando leggermente la testa.

Cerco di staccarmi da lui, ma non me lo permette. Le sue braccia forti mi circondano la vita e non mi lasciano andare.

- Cosa significa? - Malcom fa un cenno ai nostri corpi avvinghiati.

- Significa,- sottolinea Adam, - che la amo.

Deglutisco e abbasso lo sguardo, mentre il rossore per la vergogna e l'imbarazzo mi infiamma il viso. 

- Cosa? - il tono della voce del professore è calmo. - Ma è come se fosse tua sorella.

- No, non carnale. E poi, sei il suo tutore, non il suo patrigno.

- Non va bene tutto questo. Potrebbe portare a nulla di buono, vi farete del male.

- Perché? - ora Adam fa fatica a mantenere la calma a sua volta.

Malcom sta per ribattere, quando tre, forti colpi bussano alla porta d'ingresso.

Si irrigidisce, per una frazione di secondo nei suoi occhi vedo il panico, ma forse me lo sono solo immaginato.

Adam è confuso quanto me.

Sento due uomini entrare in casa, le loro voci sovrastano quella di Malcom.

- È lei Malcom Smith? - chiedono.

Sento un debole "sì" in risposta.

- È qui? Dov'è?

- Aspettate, io non ho chiamato per...

- Senta, siamo qui per accordo suo e del dottor Reese. Saranno svolti tutti gli accertamenti di cui lei ha bisogno. Ora, dov'è la ragazza?

In salone entrano due uomini sulla quarantina, muscolosi ed enormi.

Mi sento fragile: potrebbero spezzarmi in due come un ramoscello secco.

- Ciao, Lenah - fa quello più alto.

Il terrore mi paralizza quando leggo  ciò che c'è scritto sul cartellino giallo che spicca sulla sua tuta bianca: "Maxon Halley, ospedale psichiatrico."

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