Capitolo 22

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Apro gli occhi che già è passata l'ora di pranzo. Sono ancora distesa sul divano e sono tutta indolenzita. Addosso ho una coperta. Abbasso lo sguardo sul polso destro, perfettamente fasciato.
Adam.

I miei pensieri vanno solo nella sua direzione.

Mi metto a sedere con un piccolo sforzo e girandomi vedo una seconda coperta piegata sulla poltrona davanti al divano.

Mi alzo lentamente e mi stiracchio.

Vado verso la cucina, dove trovo Adam seduto al tavolo. Ha i gomiti puntati sul ripiano e le mani fra i capelli, il capo chino.

Al mio arrivo alza la testa di scatto.

- Lenah.

- Adam, - sussurro, - grazie.

Abbassa lo sguardo, annuendo piano. Poi, dopo un momento di silenzio che mi sembra un'eternità, si volta a guardarmi.

- Chi è che ti perseguita, Lenah?

- Nessuno - rispondo troppo in fretta.

Lui fissa i suoi occhi nei miei, il suo sguardo carico di intensità.

Cerco di mascherare il mio disagio.

Sto arrossendo, avvampando e sudando ed il mio battito cardiaco accelera.

Senza farmi vedere, mi asciugo i palmi sudati delle mani sulle cosce.

Mi sto agitando troppo. Se ne accorgerà.

Inizio a  spostare il peso da un piede all'altro.

- Non mentirmi - sussurra.

Deglutisco.

- Non sto mentendo - ribatto con voce sorprendentemente ferma.

- Sei a disagio. Stai arrossendo e sei nervosa. Mi stai mentendo - dice calmo.

Ecco cosa succede ad avere a che fare con il figlio di un laureato in psicologia.

- Non sono nervosa. Né a disagio - nego ancora.

- Lenah - mi ammonisce. - Dimmelo.

- I-io...- inizio a balbettare, non sapendo cosa dire.

Il suo tono di voce mi sta facendo andare fuori di testa.

- Merda, Lenah. Ti prego. Non...- sospira.

- So che mi odi. E che ti sta piacendo che io ti supplichi così. Ma ti scongiuro, dimmi cosa succede.

Le sue parole mi colpiscono.

- E non dirmi che non ti sta succedendo niente, perché stanotte ne ho avuto la conferma. 

- Perché ti interessa sapere cosa mi succede? - mi vedo costretta a replicare.

Ormai negare non serve più a nulla.

- Come perché?  - risponde. - Cazzo, Lenah, io... -lascia di nuovo cadere la frase.

- Chi è che ti perseguita? - cambia discorso.  - Dimmi chi cazzo è che ti perseguita.

Nella sua voce mi pare di sentire rabbia.

Ma forse me lo sono solo immaginato.

- No - scuoto la testa. - Ti ho già detto che non posso. Non posso dirtelo. Tu non...

- Io non capisco, Lenah? - mi interrompe, - era questo quello che stavi per dire, no?

Rimango muta.

- Ho bisogno di sapere. Per favore, Lenah! - esclama in preda alla frustrazione.

È diverso dagli altri giorni.

È diverso dall'Adam stronzo e sicuro di sé che ero abituata a vedere.

È diverso dall'Adam con il quale litigavo sempre. È diverso dall'Adam che odiavo.

Questo Adam è gentile, premuroso e...protettivo. Questo Adam tiene a me.

Forse dovrei dirgli tutto. E forse starò meglio, come ha detto anche il professore.

I ricordi di Margaret e dei miei vengono a galla e il dolore inizia a bruciare nel petto.

Le lacrime iniziano a salire.

Crollo.

E scappo.

Scappo, scappo dai ricordi, scappo dalla cucina, scappo da Adam.

Ma non riesco a fare neanche un passo che Adam già mi afferra per la vita e mi spinge contro il muro.

Il suo viso è vicinissimo al mio.

- Chi è lo stronzo che non ti lascia in pace?
Bell'eufemismo, avrei pensato se fosse stato il vecchio Adam a dirmi una cosa del genere. Ma il vecchio Adam non mi avrebbe mai detto una cosa simile.

Non posso più resistere.

Non posso più tenermi tutto dentro, o esploderò.

- Non...non è un...ragazzo - dico.

Una morsa invisibile mi stringe la gola.

Il dolore è insopportabile.

Le lacrime mi appannano la vista.

Cerco di ricacciarle indietro. Almeno per un po'.

- È una ragazza? Chi è?

- No. Non è...una persona...viva - rantolo.

Adam sembra essere sorpreso, sgrana impercettibilmente gli occhi, ma si ricompone.

- Che significa? È una persona...morta?  - chiede. Leggo la paura e la diffidenza nei suoi occhi, e questo fa ancora più male.

- S-sì - balbetto. - Sono tre, ma...una...una più di tutte.

- Lenah, che vuol dire?

Ti prego, non guardarmi come se fossi pazza.

- Credo di avere bisogno di Malcom - sussurro.

Adam dopo un attimo di esitazione annuisce. Mi poggia una mano sulla schiena e mi conduce dal professore, nel suo piccolo studio in fondo al corridoio.

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