Capitolo 23

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- Lenah, ti ascolto.

Il professore mi guarda attento, da dietro gli occhiali da vista. Sono seduta sulla poltroncina di fronte alla sua scrivania.

Adam è dietro di me, in silenzio, le mani posate ai lati delle mie spalle. 

Non so come, ma la sua presenza mi fa sentire meglio. Protetta.

Prendo un bel respiro prima di iniziare a parlare:

- Sono...sono pronta a condividere con te il mio passato.

Malcom fa un cenno del capo, invitandomi a continuare. 

- Io...io non sono stata sempre così.

- Va' avanti.

- Ho...ho iniziato a tagliarmi a quindici anni - inizio, - circa otto anni dopo la morte dei miei. E..."-un groppo in gola mi impedisce di parlare.

Adam capisce che sono in difficoltà e mi sfiora le spalle con le mani, stringendole delicatamente per qualche secondo, poi mi lascia andare, tornando ad avvolgere con le dita lo schienale della poltroncina su cui sono seduta. 

Rincuorata da questo gesto, mi faccio forza per andare avanti.

- E dopo la morte di Margaret.

- Chi era Margaret? - chiede Malcom.

- La mia migliore amica.

Annuisce piano.

- Come sono morti i tuoi?

Sento Adam agitarsi dietro di me.

- Era notte, avevo solo sette anni. Mi sono svegliata per via dei rumori forti che provenivano dalla cucina - comincio a spiegare, - perciò sono scesa, attirata dalle urla dei miei che stavano litigando -. Di nuovo.

- Poi mio padre ha esagerato. Ha preso un coltello ed ha ucciso mia madre al primo colpo. Così, senza battere ciglio. 

Prendo una pausa, sopraffatta dalle emozioni che il ricordo scatena in me. 

- Ero nascosta, ma mi ha vista comunque. Mi ha detto che mi voleva bene, che gli dispiaceva. Sembrava sincero, aveva gli occhi lucidi. E dopo...dopo si è pugnalato, dritto al cuore.

Rivedo tutta la scena mentre parlo.

- E Margaret? Lei com'è morta? - la schiettezza di Malcom mi fa venire i brividi. Adam inspira forte.

- Stavamo giocando a palla, un pomeriggio, nel giardino di casa sua, - inizio, ma la voce trema.

- Ho colpito la palla troppo forte e...e questa è finita in strada. Margaret non è stata attenta, la macchina non ha frenato in tempo e... - un singhiozzo forte è come un esplosione in mezzo al silenzio più completo. È stato il mio singhiozzo.

Malcom china la testa. Adam mi poggia di nuovo le mani sulle spalle, ma stavolta le lascia. Non ho terminato la frase, non ce l'ho fatta. Ho vissuto ancora i due giorni più terribili della mia vita.Stesse emozioni, ma il dolore è stato più forte.

- E allora perché ti tagli? Non sembri affatto una ragazza che non è in grado di accettare il proprio corpo - il professore spezza il silenzio. 

- No, non è questo...lo faccio perché...devo - rispondo. - È il mio modo per sopravvivere al dolore psicologico. Il dolore fisico è il mio sollievo.

- Ma così stai solo facendo del male a te stessa e se esageri, tutto questo potrà terminare con la tua morte. Non lo capisci?

- È quello che mi merito, in fondo.

- No, Lenah.

- Invece sì! - esclamo in un impeto di frustrazione e scatto in piedi. - Loro sono morti a causa mia, mia! È tutta colpa mia! - urlo, colpendomi ripetutamente il petto con una mano, enfatizzando maggiormente le mie parole.

- Ti senti in colpa - afferma.

- Se io non mi fossi fatta vedere da mio padre, lui probabilmente sarebbe ancora vivo. Ma soprattutto, se io non avessi colpito la palla così forte, o se almeno avessi provato a fare qualcosa, Margaret sicuramente non sarebbe morta. La mia migliore amica, non sarebbe  morta! - mi sfogo, e mi rendo conto che è vero ciò che Malcom ha sempre ripetuto: nonostante il dolore, ora sto meglio, in un certo senso. Ed è strano. Libero un sospiro frustrato e finalmente lascio che le lacrime mi scorrano sul viso. 

- Mi chiedevo quando ti saresti aperta così e mi avresti raccontato tutto.

- Sapevi ogni cosa? - esclamo, forse sorpresa o forse irritata, ma poi ricordo del suo incontro con la signora Sullivan al centro di recupero e tutto torna. Ovviamente sapeva, non avrebbe potuto firmare quei documenti. 

Malcom scuote la testa. 

- Sapevo una versione dei fatti, ma io volevo conoscere la tua storia. Sono felice che ti sia fidata di noi, Lenah. Ti aiuteremo.

- Andiamo, ti porto in camera - mormora Adam mentre mi aiuta ad alzarmi.

Entrati nella mia stanza, mi siedo sul letto, lo sguardo basso. Lui fa per andarsene, ma lo fermo, afferrandogli la manica della maglia per poi lasciare subito la presa, arrossendo.

- Penserai che io sia pazza, adesso - sussurro. 

 - Tu non sei pazza, Lenah. Non lo sei mai stata e mai lo sarai - dice mentre si siede sul letto accanto a me.

Accenno un sorriso.

- Perché non hai detto che Margaret ti appare in sogno? Che ti perseguita?

- Non mi perseguita - replico. 

- Ma è per questo che la notte ti svegli urlando - asserisce.

- Non mi va di parlarne ancora. 

Lui annuisce.

- D'accordo, hai ragione, scusa.  Ma tu promettimi che se farai ancora questi sogni, non ti taglierai. Che non ti taglierai mai più, per nessun motivo. Ma che verrai da me. Sempre - sussurra con voce roca.

- Va bene - dico dopo un attimo di esitazione.

- Promettimelo.

Annuisco. - Te lo prometto.

- Ora ti lascio riposare - dice, - ci vediamo più tardi.

Annuisco e mi sdraio sul letto mentre lui esce dalla stanza e chiude la porta.

Pain is peace Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora