Capitolo 4 ➳ "Primo giorno"

2.2K 140 22
                                    

Il mattino dopo fui costretta ad alzarmi dallo scomodo cosidetto letto, fatto soltanto di ferro, a causa di alcuni uomini che ci avevano letteralmente buttati a terra, tutti, con poca delicatezza, urlando che fosse ora di alzarsi.

Erano quasi le nove. L'orologio attaccato sopra il portone dell'edificio lo diceva, così mi alzai e chiamai Dinah, vicino a me, che ancora dormiva a terra nonostante anche lei fosse stata spinta con poca delicatezza da una guardia.

"Dinah, Dinah, svegliati. Si stanno alzando tutti" la chiamai, scuotendola, e lei aprì gli occhi, alzandosi poi da terra quando realizzò.

"Ciao" disse, mettendosi in piedi, e così ci dirigemmo verso l'edificio mentre gemevo dal dolore come tutti gli altri : mi facevano male tutte le ossa a causa della lastra di ferro su cui avevo dormito. La cosa più brutta era che il giorno prima, nella notte avevo soltanto sentito urla disperate di persone che venivano accoltellate o sparate perché dormivano sull'erba, che era ovviamente molto più morbida delle lastre di ferro. Non vevo dormito per niente, forse soltanto un'ora, ma niente di più. Come potevo dormire con quei cadaveri morti vicino a me?

"Grazie per ieri" dissi, facendo poi una smorfia a causa della puzza di morti a terra. "Ieri mi hai fatta sentire davvero meglio. Grazie davvero" evitai di guardare in faccia le persone morte che incontravo durante il mio percorso. Mi veniva da piangere.

"Ma di che" disse lei, con un debole sorriso sul viso che invidiavo. Sicuramente era l'unica a sorridere lì dentro. Mi chiedevo come facesse. Forse sorrideva per non piangere.

Quando entrammo nell'edificio, ci trovammo direttamente nell'aula magna, e poi, sotto guida di una guardia, arrivammo nella sala pranzo dopo aver percorso un corriodoio che iniziava dall'aula magna con una porta semiaperta; l'unica all'interno dell'aula; quindi non avrei potuto dimenticare il percorso fino a quel punto. Poi molto probabilmente sì visto che nel corridoio nè molto stretto nè molto largo c'erano moltissime porte.

"Wow, pane" disse Dinah, quando anch'io ricevetti il mio cibo giornaliero. "Che bella colazione" disse, ed entrambe ci dirigemmo verso un tavolo con il nostro vassoio con acqua e pane.

"Già è tanto se ci danno da mangiare" dissi io e lei rimase in silenzio. "Dopo cosa dovremmo fare?" chiesi, non ricordando, addentando e strappando un pezzo di pane.

"Dovremmo andare nelle stanze di convertimento" disse lei, ricordandomi, e io smisi di mangiare. Riposando il pane rimanente sul vassoio.

"Per... per farlo?" domandai, e lei annuì.

"Dovresti mangiare. Mancano solo cinque minuti" disse lei, accennando il mio vassoio con un'espressione di tristezza sul viso. No, non era felice come quella mattina avevo pensato. Cercava di evitare di piangere, lo lessi nel suo sguardo.

"Io... non voglio farlo" dissi. "A dire la verità nemmeno l'ho mai fatto, non voglio che la mia prima volta sia così" dissi, fissando il vassoio con il pane e la bottiglietta d'acqua, che finì di vere proprio quando una voce di un microfono ci invitò a dirigerci verso le scale che portavano al piano superiore e che si trovavano alla fine del corridoio fuori dalla sala pranzo.

"Lo so. Lo capisco" mi aveva detto Dinah, quando ci eravamo alzate. "Però mangia. Sul serio. Mangiamo soltanto due panini al giorno, o almeno credo che stasera ci daranno lo stesso e non si sbilanceranno. Quindi, mangia" afferrò il panino sul mio vassoio e me lo porse, ma io feci un'espressione di disapprovazione, allontandomi.

"Non ho fame"

Tutti si erano alzati dai loro posti per uscire dalla sala pranzo.

"Camila... già è dura vivere così. Per favore, non morire per qualcosa che hai causato tu"

"È finita l'ora di mangiare" disse un uomo, afferrando il pane dalle mani di Dinah, e sia io che lei facemmo un sospiro di fastidio prima di seguire la massa e arrivare al secondo piano.

Bastarono pochi minuti, e tutti furono distribuiti nelle loro stanze, tra cui io.

Mi veniva da piangere, da urlare e di scappare, ma non potevo, se no sarei stata punita.

L'uomo che era all'interno della stanza sembrava avere circa trent'anni, aveva la barba e molti tatuaggi sull'addome, che avevo notato quando aveva iniziato a svestirsi.

L'unica cosa positiva di quel momento era il letto, il comodo letto nella stanza. Insomma, era ovvio che ci fosse, no? Se no dove lo avrebbero fatto tutti? Eppure io non avevo chissà quanta voglia di sdraiarmi lì anche se un po' forse l'avevo; ma purtroppo il contesto in cui mi trovavo non me lo permetteva.

Quando l'uomo si tolse gli indumenti più pesanti, rimase soltanto in boxer e si avvicinò pericolosamente a me.

Era muscoloso e ben curato pur avendo circa trent'anni, ma nemmeno in quell'aspetto mi sarebbe piaciuto. A me piacevano le ragazze, non i ragazzi.

Mi prese per i fianchi e mi spinse sul letto, ordinandomi di aprire le gambe e svestirmi.

Nonostante fossi a conoscenza del fatto che se non avessi ubbidito, avrei avuto una punizione, io scoppiai a piangere, mi alzai e corsi verso la porta, aprendola e scappando.

La sua voce dietro di me mi richiamò varie volte, ma io non volevo dargli ascolto. Io non volevo farlo, non con una persona che non conoscevo, e non in quel posto; non in un campo di concentramento.

"Cosa stai facendo?!" urlò una ragazza, quando io sbattei contro un corpo.

Strizzai gli occhi per il terrore, e rimasi seduta sul pavimento. Poi aprì gli occhi con esitazione.

Avevo urtato Lauren; Lauren Jauregui.

Homophobia ➳ CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora