Capitolo 7 ➳ "Amicizia"

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Erano le sedici, e avevo soltanto un'ora di riposo. Poi sarei andata a farmi una doccia.

In quel momento, non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi. Ero sdraiata a terra nel retro dell'edificio pur sapendo che fosse severamente vietato : se volevi riposare dovevi usare quei pezzi di ferro che ti rompevano la schiena. Io però avevo seriamente bisogno di riposarmi. Ero stanca e avevo soltanto bisogno di piangere e sfogarmi.

Ero distrutta. Avevo perso tutte le volte tranne ovviamente lo scontro con Normani. Purtroppo non riuscivo a tirare pugni o calci. Le mani mi tremavano sempre e non riuscivo a far del male a qualcuno. Invece tutte le persone che avevano combattuto con me, non si facevano scrupoli e mi colpivano, forse soltanto per non ricevere nessuna punizione. Senz'altro quel luogo stava rendendo tutti pazzi. Inclusa io, che ero sdraiata nel bel mezzo del prato, a piangere e sperare che nessuna guardia mia sgamasse. Forse non mi sarebbe dispiaciuto. Insomma, vivere lì ti lacerava, lo avevo capito. Ad esempio, i combattimenti erano stati sicuramente programmati per farci odiare a vicenda, e farci per così dire convertire. Eppure io non riuscivo ad odiare nessuno. Non riuscivo a fare del male a nessuno. E come ricompenso ero lì, sdraiata, con le labbra colorate di un color sangue secco, la fronte viola per i pugni, un occhio semichiuso per un brutto calcio, l'altro dolorante che non osavo aprire, i fianchi e tutti gli arti che mi facevano troppo male.

Quel posto, ti faceva male. Ti obbligava ad odiare tutti. E lo capì quando, alla fine del programma di combattimento, molte persone si uccisero di insulti, calci e pugni. Non esisteva più la pace. Le persone non dimenticavano da chi erano state sconfitte, chi gli aveva tolto l'opportunità di mangiare ancora pane, e così, si vendicavano, uccidendo a sangue persino le persone, che morivano sdraiate sul terreno e poi venivano sparate in fronte per aver ignorato un regolamento. Uno stupido regolamento che non era stato scritto nemmeno su quel famoso foglio incollato sul muro. Lì non c'erano regole fisse; erano inventate sul momento e ti uccidevano.

Dopo un po' calmai il pianto, e menomale nemmeno una guardia mi aveva sentita.

"Tutto okay?" domandò una voce che riconobbi subito.

Normani si avvicinava a me con preoccupazione e tristezza sul viso.

"Direi" dissi con voce impastata a causa del dolore alla mascella.

"Non hai fatto male a nessuno" disse lei e io non risposi. "Qui se vuoi sopravvivere devi combattere, lo sai?" si piegò per studiare le mie ferite, che toccò delicatamente, provocandomi gemiti di dolore. "Scusa" disse.

"Moriremo lo stesso" dissi io, ignorando le sue scuse. Ero di pessimo umore. "Tu? Come stai?"

"Bene. Mi fa male il viso soltanto per quei pugni che mi hai dato tu" sorrise.

"Sei molto brava a combattere"

"Faccio Karate"

"Avevo intuito" dissi e lei sorrise di rimando, facendo cadere il silenzio. "Perché mi hai detto di picchiarti? Non lo hai fatto con gli altri" dissi, volendo risolvere quel mio dubbio.

Lei rimase interdetta per la mia domanda, ma poi si mise a sedere vicino a me e sorrise dolcemente.

"Avevi la faccia di chi era distrutta ancora prima di iniziare" disse lei.

"Gli altri no?"

"Tu stavi male"

"Come lo sai?"

Lei alzò le spalle.

"Così"

Quella ragazza mi insospettiva ma non le feci altre domande.

"Sai che è vietato sdraiarsi a terra, vero?" mi fece notare.

"Moriremo lo stesso" dissi io e lei roteò gli occhi, ridendo.

"Pessimista, eh?" disse lei, e io annuì.

"Forse non ho paura di morire come l'avevo prima" dissi io, fissando il cielo stellato, che avrei tanto voluto ammirare con la mia famiglia. Il mio sguardo era sicuramente vuoto, ne ero sicura, perché in quel cielo vedevo i miei ricordi. Gli abbracci di mia sorella. Quelli di mamma e papà. "Mi dispiace, mi dispiace che non sia riuscita a trasmettere quello che avrei voluto sempre trasmettere" dissi, ancora fissando il cielo pieno di stelle, che brillavano come se in fondo tutto non facesse così schifo. Ciò mi ricordò Dinah, che avevo evitato dopo la fine dei combattimenti perché non stavo bene sia fisicamente che emotivamente. Forse era rimasta ferita da quel mio comportamento. "Sai, io l'ho sempre saputo che mi piacciono le ragazze, e non mi sono mai sentita sbagliata in alcun modo. Non ero quel tipo di ragazza che si fingeva etero o si sforzava di crederlo o di diventarlo. Ero semplicemente me. A scuola studiavo davvero moltissimo. Di solito venivo presa in giro per la mia sessualità ma io dimostravo a tutti che alla fine non facevo davvero male a nessuno. Facevo temi su quello, chiedevo alla professoressa di esporli e cercavo di far capire a tutti che un mio semplice gusto, non poteva fare male a nessuno" una lacrima scivolò sul mio viso. "Perché alla fine, le strade in cui tutti cammineranno saranno le stesse. Perché, in fondo, i loro amici e la loro famiglia, ci saranno comunque. Perché, in fondo, io non danneggio nessuno. Non spengo le stelle. Non inquino le strade di nessuno. Non ferisco le famiglie o le cerchie di amici di qualcuno. Non faccio male a nessuno. Ho sempre cercato di farlo capire a tutti, a tutte le persone che mi prendevano in giro... e adesso... è finita così" asciugai la lacrima che era arrivata fino al mio mento. "A volte avrei voluto che qualcuno si interessasse della mia vita sentimentale come una persona se ne interessa di qualcuno che si innamora di un ragazzo" dissi. "E per quanto voglia bene le mie amiche là fuori, anche loro, hanno sottovalutato un po' i miei sentimenti. Quando qualcuno del nostro gruppo di innamorava di un ragazzo, tutte erano felici. Se io... ero attratta da qualcuno del mio stesso sesso nessuno mi dava ascolto" feci cadere il silenzio, e in quel momento sentì il rumore di quelli che sarebbero dovuti essere dei tacchi, andarsene via.

Mi voltai e Normani era sempre lì.

Chi mi aveva ascoltata? Non lo sapevo, ma sicuramente non era stata una guardia.

Homophobia ➳ CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora