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Prima una gamba, poi l'altra, e le sue cosce furono fasciate dal sottile velo del nylon delle autoreggenti. Jungkook sistemó meglio l'elastico, facendolo aderire meglio alla sua pelle ninfea. Hoseok era stato così gentile da fornirgli una mascherina nera che coprisse metà del suo viso: il minore aveva preferito così, rimanere in anonimato sarebbe stata la scelta migliore, almeno fino a quando non avrebbe deciso in maniera definitiva se continuare o meno.

Infiló lentamente anche le mutandine di pizzo che gli aveva lasciato nel camerino il rosso, guardandosi allo specchio per un attimo.
Non ti fai schifo, Jungkook? Non pensi ai sentimenti che hai per Taehyung?
I suoi occhi divennero lucidi, e delle lacrime minacciavano già di uscire, ma prontamente scosse la testa, scacciando quei pensieri inutili. Era vero, Jungkook amava con tutto il suo cuore Taehyung, ma valeva la pena stare in pensiero per una persona che era letteralmente sparita?
Un rumore lo fece sobbalzare, qualcuno aveva bussato alla porta costringendolo ad afferrare alla velocità della luce la mascherina nera, infilandosela. Aprí la porta, titubante, ritrovandosi davanti un volto familiare.

Cazzo. Non ci voleva.

«Ciao! Tu sei quello nuovo vero? Io sono Jimin, Hobi mi ha mandato qui per vedere se fossi pronto ma qualcosa mi dice che lo sei già.» rise appena il ragazzo biondo, squadrando Jungkook dalla testa ai piedi leccandosi le labbra.
«C-Ciao... Mi vesto e sono fuori, due minuti.» balbettó il corvino, rosso per l'imbarazzo. Vide il suo hyung annuire e si richiuse la porta alle spalle, sulla quale strisció senza esitazione quando sentí lo scattare della serratura. Sospiró, passandosi una mano fra i capelli e tirandoli lentamente, come se quel gesto potesse servire da rimprovero. Si chiese se quello che stesse facendo fosse davvero giusto, per un attimo l'idea di tirarsi indietro gli balenó nel cervello. E ci mancava solo Jimin, il migliore amico di Taehyung, e modello che conosceva di vista il fotografo, a complicare tutta la situazione.

Schioccó la lingua al palato, infilandosi in fretta e furia i pantaloni neri e una maglia trasparente a rete, del medesimo colore. Poi, aprendo la porta si ritrovó davanti agli occhi la piccola figura di Jimin, vestito con un completino che non lasciava nulla all'immaginazione, olografico e con qualche pizzo e diamante qua e là sul collo e sulla gonnellina. «Sei vivo quindi» rise il maggiore, dando una pacca sul sedere al nuovo arrivato. «Ti spiego, qui tutti abbiamo un nome d'arte, con cui i clienti possono chiamarci e con cui ci presentiamo sul palco. Tu visto che sei nuovo e devi farti una nominata tra quei maiali li fuori, per oggi ti esibirai con me. MA! Non ti azzardare a chiamarmi Jimin, io sul palco e in questo locale rispondo solo al nome di Velvet. Se dovesse scapparti potrei ammazzarti.» gongoló ancora, posando una mano sulla spalla di Jungkook, che tremó al contatto. Doveva ammetterlo, Jimin aveva un fascino a cui pochi restavano indifferenti, e in più vestito così sembrava davvero un angelo, una creatura ultraterrena. «Tu come ti chiami?»
Il corvino ci pensó un po', mentre attraversavano un corridoio semibuio, con la musica che veniva dall'altro lato del palco ovattata. «Seagull»

Jimin si fermò non appena arrivarono davanti a delle scalette, che da quello che Jungkook poté capire erano proprio il retro del palco. «Bene, Seagull» con passo felpato si avvicinó al minore, che in quel momento ringrazió il fatto di avere in faccia la mascherina, a coprire il suo rossore evidente. «Falli arrapare, mi raccomando» sussurró al suo orecchio, prima di salire i gradini sculettando letteralmente in faccia a Jungkook, sentendo il suo nome d'arte essere urlato a gran voce dalla folla.

In cosa cazzo mi sono cacciato...

Daddy's babyboy | Taekook Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora