Capitolo 11

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Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

(G. Leopardi)


AVVISO: In questo capitolo si tratterà un argomento delicato, ovviamente legato alla trama, quale l'abuso psicologico e fisico da parte di una madre nei confronti del proprio figlio (per l'esattezza si tratta di Regan e Salazar). Ci tengo a precisare che la scena in questione non è stata inserita per provare il prossimo a riprodurla nel mondo reale, ma perché il personaggio in questione soffre di gravi disturbi psicologici, che comunque non ne giustificano l'azione. Qualora non vi sentiate di proseguire con la lettura del capitolo, siete pregati di saltarlo e procedere tranquillamente con il prossimo, grazie.



Ludwig si trovava a combattere contro le sue emozioni: da una parte, sia per la stupidità di Silas che per il suo arresto, la rabbia lo sormontava; dall'altra, invece, provava una sorta di angoscia – una di quelle che non ti lasciavano andare più via.

Nel petto sentiva come l'amara sensazione di qualcosa che stava per sfuggire. Tuttavia, non c'era niente intorno a lui; solo suo figlio e i due secondini che li stavano scortando fino a casa.
Li avevano lasciati andare, ma avevano ugualmente l'incarico di guidarli affinché potessero dimostrare del tutto la loro innocenza. Nessuno di quegl'individui voleva brutte sorprese, pertanto era meglio mettere le mani in avanti e condurli fino a casa onde evitare qualche strano colpo di testa.

Solo una cosa aveva comunque insospettito Ludwig: lui e suo figlio erano stati gli unici a essere scortati, mentre Lothar e suo padre, invece, erano stati liberi di andare da sé. C'era sicuramente sotto qualcosa. Quell'uomo, colui che aveva interrogato suo figlio, lo detestava di sicuro e ancora di più di prima – probabilmente avrebbe pagato oro pur d'incastrarli.

Non parlò per tutto il tragitto e Silas, dal canto suo, proseguì a testa bassa, ancora rammaricato per quanto accaduto; non solo aveva messo a repentaglio la sua vita e quella dell'amico, ma aveva addirittura dovuto attendere il soccorso di Ludwig. Si sentiva un perfetto idiota, umiliato nel profondo e nell'orgoglio, ma non poteva che prendersela con se stesso: era troppo avventato e, in qualche modo, doveva smussare il suo comportamento. Non credeva di dover cambiare nelle sue idee – quello no! – ma quantomeno di modellare i suoi atteggiamenti affinché potesse diventare quel salvatore che sperava – senza far pesare su di sé una condanna a morte, ovviamente.

Ciò che più gli faceva male, tra l'altro, era l'espressione cupa e triste sul volto di suo padre: ancora una volta non era stato in grado di farlo sorridere, ancora una volta gli aveva dato ansie e dispiaceri, ancora una volta, nonostante avesse già tante cose a cui badare, aveva messo a repentaglio la sua vita.

Quella mattina, come se non bastasse, Regan sentì assente e vaga la sua mente – era come se non percepisse nulla dal mondo esterno; ma, dopo essersi spaventata in un primo momento per l'assenza di pensieri riconosciuti, comprese che fosse colpa del silenzio e se ne rallegrò: avrebbe potuto passare un po' di tempo con il suo figlioletto prediletto e senza seccatori tra i piedi, no?
Si alzò, si vestì e, dopo essersi pettinata, si decise a spingersi fino alla camera di Salazar per poterlo svegliare; così, dopo aver aperto e chiuso la porta con cura, s'intrufolò lentamente all'interno della stanza per non destarlo di soprassalto.

La ballata dei petali cadutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora