Capitolo 41

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Son luce ed ombre; angelica
farfalla o verme immondo
sono un caduto cherubo
dannato a errar sul mondo,
o un demone che sale,
affaticando l'ale,
verso un lontano ciel.

Ecco perché nell'intime
cogitazioni lo sento
la bestemmia dell'angelo
che irride al suo tormento,
o l'umile orazione
dell'esule dimone
che riede a Dio, fedel.

Ecco perché m'affascina
l'ebrezza di due canti,
ecco perché mi lacera
l'angoscia di due pianti.
ecco perché il sorriso.
(Dualismo. A. Boito)

Silas era tornato a Monaco, così come aveva promesso a se stesso e a suo figlio: voleva che Weike fosse rispettata nella morte in quanto madre di suo figlio, anche se faticava a comprendere le ragioni di un gesto tanto disperato, specie in quegli ...

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Silas era tornato a Monaco, così come aveva promesso a se stesso e a suo figlio: voleva che Weike fosse rispettata nella morte in quanto madre di suo figlio, anche se faticava a comprendere le ragioni di un gesto tanto disperato, specie in quegli anni flagellati dalla guerra.

Era tornato a casa, non senza fatica: distrutto, senza ore di sonno, afflitto dalle emozioni. In più, Weike gli aveva lasciato una lettera contenente il motivo del suo gesto; o forse qualcosa per lui. Non aveva avuto il coraggio di leggerla, non ancora. Se l'era portata indietro ben chiusa e solo a Berlino l'avrebbe letta, sicuro di potersi abbandonare a qualsiasi stato d'animo nelle mura domestiche.

Si trascinò fino al divano, ormai stanco e privo di forze, e sedé in un tonfo. Reclinò la testa indietro, poggiandola sullo schienale. Si riposò un secondo, il tempo per mettere insieme tutte le sue idee. In mano stringeva la lettera. Poi, composto, l'aprì.

Weike non faceva che incolparlo; ma di colpe che non poteva avere: lo aveva accusato di averla sposata e poi abbandonata, di averla lasciata sola dopo la nascita di Jorgen, nonché di averle dato un anello che non aveva mai rispettato. Ecco: Silas non aveva mai fatto niente di tutto questo. E, per quanto riguardava Jorgen, non sempre poteva viaggiare: spesso e volentieri non era una scelta che dipendeva da lui. Mi uccido perché non riesco a sopportare più quest'assenza. Questa solitudine mi squarcia l'anima. Furono queste le ultime parole che la donna aveva scritto su quel foglio.

Silas arricciò la lettera nella sua mano, la strinse forte. Si poggiò, con i gomiti sulle ginocchia e il capo sulle mani. Sembrava quasi penitente. Scoppiò in lacrime. Pianse perché non era riuscito a scorgere tutta questa sofferenza, pianse perché in quel momento aveva realizzato a cosa aveva assistito Jorgen per anni, pianse perché la madre di suo figlio era morta. Era troppo stanco per cercare di controllare le sue emozioni, per cercare di pensare lucidamente e, allora, pianse per la mancanza e la noncuranza di Lothar, per il suo andare e venire, per le sue parole non corrispondenti ai fatti. Pianse così a lungo da addormentarsi stremato, ormai privo di forza e svuotato nell'animo.

Trascorse qualche ora e si svegliò quando si sentì strattonare la stoffa dei pantaloni. Aprì gli occhi, sbatté appena le palpebre per riprendersi, mettere insieme i pezzi e ricollegare il tutto; poi indirizzò lo sguardo e lo vide: era Jorgen. «Piccolo mio, che succede?» gli domandò dolcemente.

La ballata dei petali cadutiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora